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La veneziana comprende una sequenza di racconti scritti in russo da Nabokov, quasi tutti fra il 1923 e il 1925. È questo il periodo che rimane in gran parte da scoprire della sua opera (fino a tempi molto recenti quattro di questi racconti, incluso La veneziana, erano inediti anche in russo, mentre tutti lo sono per l’Italia). Qui Nabokov si mostra già maturo e gioca su mutevoli scenari: la Russia perduta, l’Inghilterra degli studi universitari, la Svizzera di brevi vacanze sulla neve, la Germania, nuova patria casuale e non amata. Ciascuno di questi scenari, che poi rimarranno inevitabili nella geografia mentale di Nabokov, è una sfida per una divorante vocazione narrativa, per una scrittura che sonda con felice stupore le sue latenti possibilità, i suoi molteplici toni e registri. Il giovane letterato russo in esilio sfodera le sue armi senza tremori o esitazioni: ha già individuato il nemico, e alle scontate ma sempre pericolose manovre del «realismo» oppone la gioiosa e massiccia offensiva di un iridato linguaggio ricco di accostamenti imprevisti, fulminee diversioni spazio-temporali, una già smaliziata strategia dell’illusione e del trompe-l’oeil. Così le minime cose dell’anima e del mondo vengono trionfalmente sottratte alla tirannia del tempo e ricomposte in un nuovo arabesco, in una nuova armonia dove nulla è brutto, casuale. Plumbeo e tremendo se guardato con l’austero e presuntuoso pince-nez dell’«obiettività», il reale rivela suoni e colori prodigiosi a chi lo osserva attraverso il diafano cristallo magico del gioco, dell’ironia, della pietà, dell’amore, della creazione artistica.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Raccolta di racconti giovanili del sommo autore russo, un pò discontinua qualitativamente e un pò acerba, anche a tratti linguisticamente, ben lontana dall'estrosità sintattica dei suoi straordinari romanzi. 13 storie di cui almeno 4 a carattere fantastico (fra Puskin, Kafka e Gogol), sono di altissimo livello, a partire da La veneziana, racconto che meriterebbe di essere incluso nelle migliori antologie del fantastico di primo '900, tema: una invasiva tipologia della sindrome di Stendhal, si, entrare fisicamente dentro un quadro. La vendetta, noir a sfondo spettrale e parodistico che mi ha fatto ricordare certi racconti di Jean Ray o Maupassant, tremendo e divertente il finale. E per finire Un colpo d'ala, un angelo diafano in carne ma senza ossa... in una camera d'albergo, le alpi, la neve, una ragazza misteriosa, un ometto calvo e tondo che ama osservare chi sta per suicidarsi, un finale d'impatto, un racconto sontuoso. E tranne altre due brevi storie con qualche buono spunto, il resto non mi ha convinto, blande le trame e deboli le atmosfere.
Molto più di una raccolta di racconti, la Veneziana di Nabokov è un geniale e vivace divertissement di un uomo estremamente narcisista nei confronti della vita e sardonico nei riguardi dei suoi maestri letterari, primi fra tutti i padri russi della letteratura: ad esser preso di mira, in particolar modo, è lo psicologismo di Dostoevskij, a cui Nabokov rende un rispettoso omaggio celato tra una spietata parodia carica di simpatiche frecciatine. Nabokov è riuscito a fornirne solo un infinitesimo abbozzo, il resto è la descrizione di un ambizioso progetto... e che descrizione! Da provare con la stessa leggerezza con cui l'autore si è divertito a costruirla. Consigliato.
Recensioni
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recensione di Petrignani, S., L'Indice 1992, n.10
Personaggi entrano e escono da un quadro. Un marito geloso uccide la moglie ipersensibile infilandole uno scheletro nel letto. Un folletto cerca di risvegliare una folla di morti facendo il matto nel bosco. All'interno di un ricco hotel di montagna un angelo mostruoso si nasconde in una stanza. Non ha ancora trent'anni Vladimir Nabokov quando inventa queste storie surreali, eccessive, e la sua Russia è già lontana, inghiottita dalla rivoluzione che lui non riconoscerà mai.
Fin dall'infanzia è un poliglotta, ma questi primi racconti sono ancora scritti in russo. Esule fra gli esuli, promettente poeta e narratore nella folla di aristocratici, pittoreschi e viziati che aveva invaso l'Europa fuggendo il comunismo, la morte, la spoliazione di ogni avere, Nabokov costruiva le solide fondamenta della sua poetica: rendere straordinario l'ordinario. Adesso tredici di quei primi racconti, raccolti in volume dal figlio Dmitri per le edizioni Gallimard un anno e mezzo fa, sono stati tradotti in italiano. Alcuni erano totalmente inediti, altri erano stati pubblicati dall'autore nelle riviste degli immigrati russi, ma Nabokov non li aveva inclusi nelle sue raccolte di racconti, che sono "Una bellezza russa","La signorina O.", "Dettagli di un tramonto", "La distruzione dei tiranni". Dmitri Nabokov sostiene che il padre aveva intenzione di preparare una quinta scelta con i racconti della giovinezza, ma non fece in tempo. Avrebbe scelto gli stessi testi che ora compongono "La veneziana"? Chi lo sa. Vladimir era un severissimo giudice di se stesso. Per questo amava prendere le distanze e premettere piccole indicazioni di lettura - piccoli capolavori di autoironia - agli scritti giovanili che andava pubblicando. Se ci si accostasse alla "Veneziana" aspettandosi i nitidi funambolismi verbali, le sottilissime descrizioni psicologiche, l'inimitabile seduttività delle opere cui deve la fama, si rischierebbe la delusione. Ci si trova invece al cospetto di una vena in cerca di se stessa in una fase luminosamente aurorale, che tuttavia è già consapevole del suo percorso, quello che la porterà a identificarsi con "una spirale colorata all'interno di una pallina di vetro".
Si veda, per esempio, quello che è forse il più bello fra i racconti della raccolta, "La Grazia", che già nel titolo preannuncia il superbo romanzo "Il dono" (dono letterario, grazia di capire il profondo significato della vita): un innamorato aspetta invano l'innamorata. Ma durante l'attesa angosciosa si guarda intorno e scopre nei piccoli gesti della gente, nella movimentata stanzialità delle cose, il senso nascosto dell'essere al mondo. Ecco, qui c'è tutto Nabokov, lo scrittore che ha sempre preferito descrivere il mondo non direttamente, ma attraverso il suo riflesso in una pozzanghera, attraverso il codice segreto delle ali di una farfalla.
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