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recensione di Pinto, G., L'Indice 1994, n. 1
L'abbigliamento, è noto, svolge una funzione primaria: protegge il corpo o ne copre quelle parti che il comune senso del pudore vuole nascoste. L'abbigliamento è, d'altra parte, un formidabile strumento di comunicazione sociale. Cultura della diversità e cultura dell'integrazione passano attraverso di esso. Di conseguenza, decodificare e contestualizzare il linguaggio degli abiti significa penetrare all'interno dei meccanismi che regolano i comportamenti sociali. L'analisi si rivela particolarmente feconda quando ci si rivolga alle società d'antico regime; società fortemente gerarchizzate dove alla complessità delle funzioni corrispondevano la varietà e le difformità dell'abbigliamento.
È questo il caso della Sicilia medievale, oggetto del saggio di Tramontana. Al centro dell'analisi si collocano il ruolo degli abiti in rapporto ai diversi ceti e strati sociali; il significato delle feste, degli spettacoli, dei riti; le concezioni del corpo e della sessualità. Gli abiti assumevano quasi sempre nelle loro fogge e nei loro colori un significato simbolico, parlavano un loro linguaggio, esprimevano regole e ideologie, costanti nel tempo e comprensibili ai più. Tra i colori, ad esempio, l'azzurro simboleggiava in genere i scotimenti di lealtà, di fiducia, di fedeltà; il nero era il colore della penitenza e della morte, di chi si rinchiudeva nel proprio dolore, isolandosi dal mondo; il rosso era il colore della regalità e della sacralità. Alcuni abiti indicavano l'appartenenza sociale; altri contrassegnavano il mondo degli esclusi: ebrei, musulmani, meretrici. La simbologia dei vestiti e dei colori aveva modo di esprimersi compiutamente in occasione delle feste e delle cerimonie, pubbliche e private, quando il "travestirsi" diventa norma e la cultura delle apparenze aveva il suo trionfo. La nudità, in quanto strumento di piacere e di profanazione, rappresentava il massimo della trasgressione, violava l'ordine sociale e la tradizione; salvo essere recuperata più tardi, alla fine del medioevo, e in determinati ambienti, nei suoi valori estetici. Muovendosi a suo agio tra un'amplissima gamma di fonti siciliane e non - cronache, trattati, leggi, imbreviature notarili, resti, iconografia, ecc. -, ma indulgendo pure a frequenti richiami letterari, l'autore costruisce, in una prosa vivace e poco accademica, un saggio di antropologia storica di notevole spessore. Cosa abbastanza rara nel panorama storiografico italiano, in particolare per quel che riguarda la medievistica. Vi arriva, Tramontana, partendo da una solida preparazione di storico delle istituzioni e della società bassomedievale, ma le lezioni e le suggestioni di un Huizinga, di un Alias, di un Bachtin, per non dire di un Febvre e di un Le Goff, non gli sono certo estranee. Oggetto dell'indagine, come si è detto, è principalmente la Sicilia fra XII e XVI secolo: un osservatorio particolare, dove alcuni comportamenti riscontrabili anche nelle altre società dell'Occidente europeo risultano sovradimensionati e quindi più facilmente percepibili. Certo, nella stessa Italia, pur nell'ambito di tradizioni culturali e di forme espressive comuni, erano presenti sfumature e differenziazioni non di poco conto, effetto della diversa evoluzione sociale e istituzionale. L'analisi comparativa - ma questa strada l'autore ha cominciato a percorrerla - diventa perciò necessaria e potrebbe avvantaggiarsi con l'utilizzo di fonti ancor più ricche e varie di quelle messe insieme con pazienza da Tramontana; basti pensare alla sterminata legislazione suntuaria.
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