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"Ci sono persone che non fanno niente per essere amate e lo sono lo stesso e altre che fanno di tutto per essere amate e non lo saranno mai". Sul crinale del giusto e dell'ingiusto e nel germoglio di questa sentenza esplosiva si può tranquillamente giocare ogni rigo di questa squisita raccolta. Nell'uomo che l'ha composta vivevano insieme l'adagio di un animo raro e i neri marosi dell'assurdo più scelto, colate folli di lebbra sociale e il disagio atroce del farne letteratura. Sentire, sentire, verbo dal mistero sovrano, ma ha ancora ragione a spalancare questo pensiero: "Quel che noi chiamiamo silenzio è la nostra sordità. Se non fossimo così sordi il mondo non sarebbe così cattivo. Ma per fortuna c'è qualcuno che sente". Il dramma è che da quello scranno di sofferto privilegio chi sente è sovente destinato a farsi spettatore inerme di azioni e gesti troppo vasti per poterli arginare nella pienezza di un periodo magnifico. Ma è lo stesso la sua sorte, una preghiera al tempo e ai suoi smacchi sociali, all'età giovane che di colpo si eclissa, alle sfortune attraversate invano con stolte filosofie. Se il dolore è "freddo e strisciante come un'anguilla", la potenza di guardarlo in viso è lo stesso l'irrinunciabile mandato di una morale mai stanca. Vittima anch'essa - d'accordo - contro i veleni dell'ipocrisia d'intorno, ma unico bastione a sognare una salvezza, un credere vero. Nello stesso momento in cui un bambino felice attraversa la strada col suo pallone avuto in regalo quel giorno un uomo anch'egli felice con la sua auto appena comprata lo mette sotto. C'è un significato oscuro nella felicità di entrambi? E nella felicità in generale? Chissà. L'unico costo che ha questo dilemma è un nostro confidare ugualmente in qualcosa. Forse in segni che non sappiamo tradurre, in prove oltre la nostra forza. E tuttavia scrivere è tentare di rapire al sole mezzo nervo robusto a proteggerci con un calore speciale, a bordo di un'esperienza poetica che qui si fa vero Assoluto.
Questa amarissima raccolta di racconti è di una bellezza disarmante: ogni storia, per quanto breve, è animata da una luce sorprendente, capace di raccontare una vita intera attraverso la scelta di un singolo evento o un trauma solo in apparenza trascurabile. Assolutamente da leggere.
Figlio di Kafka, cugino di Camus, Dagerman appartiene alla famiglia dei ribelli della condizione umana. Anarchico, viscerale, vulnerabile, ossessionato dal tempo e dalla morte. "Sua colpa fu l'innocenza", lascia scritto sul suo epitaffio nel Viaggiatore, la colpa di chi ha scelto di non venire a patti con la vita, non riuscendo a perdonarsi di aver fatto della sua disperazione un'opera d'arte.
Recensioni
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scheda di Baggiani, A., L'Indice 1992, n. 6
Nove racconti, accompagnati da un saggio, quasi racconto, e da alcuni frammenti poetici postumi accanto a un amaro autoritratto in terza persona dello scrittore, che basterebbe a rendere ragione del suo precoce suicidio, a trentun anni, nel 1954, dopo una frenetica attività letteraria coronata dal successo. Un successo, appunto, sentito come coercizione e colpa, in totale divaricazione dalle aspirazioni anarchico-libertarie di Dagerman, geniale scrittore di romanzi intensi e rigorosi ("Il serpente", "Bambino bruciato", e il bellissimo "L'isola dei condannati"), nonché di quella specie di testamento spirituale che è "Il nostro bisogno di consolazione" (Iperborea, 1991), oggi così attuale. Ma questi, scritti tra il 1947 e il 1953, sono quasi racconti esemplari, al di là di sperimentalismi e durezze stilistiche tipiche dello scrittore. Il taglio cinematografico di "Uccidere un bambino", insolito per l'epoca, ne accentua l'effetto choc, di contro alla misura, quasi da moderno "Cuore", ma senza retorica, del sensibile "La sorpresa". Echi lontanamente bergmaniani in altri racconti ("La scacchiera da viaggio" o "Il freddo della notte di San Giovanni"), attenta registrazione di solitudini adolescenziali, o nel delicato, fantasioso "A casa della nonna" mentre ne "L'auto di Stoccolma" affiora - sempre attraverso l'ottica infantile - la durezza della vita di campagna. Emarginati, lontani, fermati nel tempo dello scacco, questi piccoli e grandi antieroi di Dagerman, senza possibilità di riscatto, ci si consegnano come simboli della scomparsa di ogni speranza. Ma, più ancora, della infelicità senza desideri alla Handke, se nel racconto d'apertura neppure la ricerca dell'acqua verde, l'idea fissa del lord, apre possibili spiragli al ragazzo che rema, rassegnato alla rinuncia.
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