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Giuseppe Civitarese tesse in otto densi capitoli la sua rivisitazione e il suo omaggio a Wilfred Ruprecht Bion con lo scopo, dichiarato, di rendere partecipe il lettore dell'incredibile ricchezza di spunti, a un tempo teorici e clinici, che gli scritti del grande psicoanalista angloindiano sono in grado di proporre incessantemente ancora oggi. Muovendo da una riflessione sulla storia della psicoanalisi, integrando continuità e cesure di questa, l'apertura del volume è provocatoria e coraggiosa insieme, con l'accostamento Descartes/Bion, e la contrapposizione tra il Discorso sul metodo e Caesura. Il testo di Civitarese interroga a più riprese la letteratura psicoanalitica contemporanea, da Antonino Ferro (cui il volume è dedicato) a Thomas H. Ogden, da Donald Meltzer a Christopher Bollas, senza rinunciare a esplorare ambiti prossimi, almeno dal punto di vista culturale, come quelli filosofico, letterario e artistico. L'autore propone numerose, eleganti riflessioni concettuali, senza tuttavia discostarsi dalla pratica clinica quotidiana; questa si presenta lussureggiante di esempi, molti dei quali così gustosi e spontanei, che trasmettono la sensazione di essere presenti e partecipi, al loro accadere, nella stanza d'analisi. Insomma, a mio parere, questo è un volume stimolante, anche se tratta di argomenti densi e pesanti, come il genere narrativo dell'ipocondria, l'evoluzione del concetto di conflitto estetico o la sofferenza nel setting, almeno quando esso sia internalizzato dall'analista. In ultimo, ma non meno importante, la fatica di Civitarese si presenta editorialmente incastonata tra due preziosi cammei: l'entusiasta, iperbioniana Prefazione di Paulo Cesar Sandler e la lucida Postfazione, criticamente ipobioniana, di Francesco Barale, che apre un fruttuoso collegamento tra il discorso di Civitarese sul conflitto estetico in psicoanalisi e l'imprescindibile contributo fornito da Aby Warburg alla storia del pensiero umano nel corso del XX secolo. Pierluigi Politi
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