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Anno edizione: 2020
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Con Violette di marzo torna finalmente in libreria un grande classico del poliziesco: la trilogia berlinese di Bernie Gunther.
«Un romanzo crudo e romantico di un maestro del poliziesco. Amo Philip Kerr». - Massimo Carlotto
«Kerr ci accompagna attraverso i fatti della storia e le stravaganze della natura umana. Il suo Bernie Gunther crede di averle viste tutte. Ma ancora non lo ha fatto, e fortunatamente neanche noi». - Tom Hanks
«Bernie Gunther è geniale. Come il personaggio più famoso di Chandler, Philip Marlowe, ha un’ampia scorta di battute deliziose». - Ian Rankin
«Uno dei più grandi antieroi mai concepiti». - Lee Child
Nella Berlino del 1936, alla vigilia delle Olimpiadi, marito e moglie vengono assassinati nel loro letto e il loro appartamento viene incendiato. Il padre della donna, Hermann Six, un industriale milionario, vuole fare giustizia – o meglio, rivuole la preziosissima collana di diamanti della figlia Grete, che è stata rubata. Si rivolge perciò al detective privato Bernie Gunther, veterano di guerra ed ex poliziotto. Grete non ha fatto testamento e dunque tutti i suoi averi spetterebbero al marito, Paul Pfarr, il quale ha nominato suo unico erede legittimo il Reich stesso. Come scopre in seguito Gunther, Pfarr era una “violetta di marzo”: un affiliato dell’ultima ora al Partito Nazionalsocialista. L’investigatore si troverà invischiato in una vicenda pericolosissima che tocca le alte sfere del potere nazista, tormentato da un conflitto interno. Bugie, eccessi, corruzione e brutalità sono all’ordine del giorno, mentre a muovere le fila di tutto ci sono Himmler e Göring.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nelle intenzioni di Hitler le Olimpiadi di Berlino del 1936 sono un'occasione per celebrare la potenza tedesca. Il velo di apparente quiete del regime nazista viene però sconvolto dalla scomparsa della figlia di un noto industriale. Bernhard "Bernie" Gunther, ex poliziotto e detective privato specializzato nella ricerca di persone scomparse, viene chiamato a far luce sul caso, ma allo stesso tempo ostacolato dal Terzo Reich che desidera non venga rovinata l'immagine di (finto) ordine costruita attorno alla città. "Violette di marzo" (1989, da noi arrivato nel 1997 edito da Passigli) è il primo noir della "trilogia berlinese" (ma oggi arrivata a quattordici volumi, la metà dei quali ancora inediti sul mercato italiano) che ha dato la fama a Philip Kerr, uno dei maggiori scrittori inglesi della nuova generazione (purtroppo scomparso nel 2018). "Violette di marzo" è quasi un giallo di costume, dove con l'espressione del titolo si indicano tutti coloro che al cambio di regime abbandonarono le rispettive bandiere per salire sul carro dei vincitori, quello dei nazionalsocialisti. Più di ogni cosa colpisce però la complicità passiva di tutti coloro che rimasero nell'ombra e non trovarono il coraggio di protestare contro le ingiustizie della Germania nazista...
Ambientato nella Germania degli anni 30, quando Hitler è già al potere. Il protagonista è Bernie Gunther. un investigatore privato che si muove in questo paese governato da un'ideologia che non condivide e che per questo ne pagherà lo scotto. Indagando sul furto di una collana di diamanti scoprirà tante verità nascoste dei personaggi coinvolti. Verrà rapito, picchiato, e arrestato e portato a Dachau per un periodo. Bernie è anche un uomo che piace alle donne e che non rifiuta un'avventura tra le lenzuola, S'innamorerà della sua assistente che poi sparirà nel nulla. Lui la cercherà ma invano. Scritto bene, con una notevole competenza storica è crudo da un lato e un po' noioso dall'altro, Ci sono infatti pagine e pagine d'indagine senza che si arrivi a un qualche risultato intermedio, indagine che si snoda tra un'avventura e l'altra, tra un pestaggio e l'altro. Comunque lo consiglio. E' comunque un giallo storico e come tale merita di essere letto,
bellissimo, non vedo l'ora di leggere anche gli altri. ambientato in una germania nazista . ti sembra di vivere quei momenti insieme ala protagonista.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bernie Gunther si presenta cinico, arrivista, disincantato, con la tipica passione per il denaro e le donne. Nulla sembra scalfire la sua corazza costruita attraverso la guerra e gli anni passati sulle strade di Berlino come poliziotto.
Così conosciamo un detective che sembra essere uno stereotipo derivato dalla grande letteratura noir tra le due guerre e che Philip Kerr, grazie ad una ambientazione quanto meno coraggiosa, trasforma in un personaggio con elementi di novità e sicuro interesse.
Siamo nella Berlino nazista, anno 1936, Hitler è ormai a capo della Germania e i suoi uomini si spartiscono i feudi del potere. Gunther viene ingaggiato da un magnate dell’acciaio, connivente con il potere per pura convenienza e fino a prova contraria, per scovare l’assassino di sua figlia, barbaramente uccisa nel fiore degli anni … e per recuperare un prezioso bottino in gioielli e documenti.
Seguendo le piste come un segugio, in un incrocio di interessi e passioni, Bernie incontra i vertici della società nazista, dive del cinema e gerarchi, fino ad arrivare a Goering, e scende nei bassifondi della manovalanza criminale, si scontra con i suoi ex colleghi poliziotti dei diversi corpi di sicurezza, non da ultima, la Gestapo, tocca con mano la corruzione e l’abiezione che sembrano essere gli unici principi guida in una Germania drogata dalla svastica. Lui, Bernie, resta imperturbabile, fa il lavoro per cui è pagato, mantenendo la giusta distanza da tutto: Gestapo, SS, ebrei scomparsi, madri straziate, donne prostituite per denaro, uomini venduti al migliore offerente.
Berlino nazista e la silenziosa ribellione
Lentamente, con il dipanarsi della storia, la posizione di Bernie rispetto al regime e ai suoi aguzzini diventa sempre più chiara al lettore: aspettare, temporeggiare, contestare, pestare i piedi, dare fastidio. All’inizio, lo ammetto, ero infastidita da questo detective che sembra avallare la filosofia di «un colpo alla botte e uno al cerchio», poi ho capito la tattica di Kerr. Lo scrittore, con una intelligenza sottile, fa scontrare il lettore prima con l’apparenza delle cose – la tacita accondiscendenza – per poi introdurlo alla silenziosa lotta che il protagonista, a modo suo, oppone al regime. Sopravvivere conta, ma non ad ogni costo. Così quando, pedina insignificante del gioco di potere e di prepotenza, si ritroverà in un campo di concentramento, Bernie avrà finalmente chiara la situazione della sua Germania, la cieca ottusità dei suoi connazionali che scivolano senza fermarsi a guardare l’orrore che il loro silenzio sta contribuendo a costruire.
Indubbiamente il romanzo è bello, ben costruito secondo uno schema classico che usa artifici, e qualche stereotipo del genere noir. Abbiamo il detective dannato, cinico e disincantato, moderatamente maschilista, un tantino narcisista, necessariamente nobile se provocato. Ricorda tanto i personaggi di Raymond Chandler (in particolare il protagonista di quella piccola gemma che è La giada Cinese e ovviamente il detective Marlowe) e tanti sono i riferimenti a Nestor Burma, scanzonato e politicamente scorretto detective parigino nato dalla penna di Leo Malet.
Anche i personaggi femminili confermano lo schema noir. Abbiamo il grande amore scomparso, la fatalona che ammalia e sparisce, la bella donna concreta e aperta che resterà un mistero, la ragazza ammirata da lontano. Ad una in particolare ci affezioneremo, e speriamo di saperne di più nel seguito della storia.
La narrazione è inevitabilmente in prima persona, ma non guasta. L’occhio del narratore non è onnisciente e il lettore arriva alla conclusione del “caso” prima di Bernie, ma non è chiaro se Kerr abbia peccato di ingenuità narrativa o se semplicemente abbia umiliato il narcisismo del detective (in tal caso, Bingo!!).
Il linguaggio è tagliente, molto bene tarato sulla voce narrante. Kerr non disdegna una nota pulp, segue l’ispirazione hard boiled (alla Chandler appunto), ma il romanzo non è mai sopra le righe.
Il pregio maggiore del romanzo sta, a mio parere, nella ricostruzione dell’ambientazione. Tutto è curato nei minimi dettagli: l’abbigliamento, le strade, i tram e le auto, le armi usate, i whisky bevuti, i manifesti ai muri. Di particolare bellezza una scena ambientata nello stadio di Berlino, dove con la scusa di incontrare una testimone, Kerr porta Bernie ad assistere alla gara di Jesse Owen, quei 100 metri che sbugiardarono agli occhi del mondo l’assurda pretesa che una razza fosse superiore alle altre. L’immedesimazione è assicurata, la presa di posizione politica anche.
Kerr, ha compiuto un lavoro di studio e ricerca prima di scrivere questo libro. Encomiabile la filologica ricostruzione dei corpi di polizia e le loro competenze, a tratti in tutte quelle cifre mi sono persa. Ammetto che sebbene molto incuriosita, ero scettica sul risultato. Come poteva uno scrittore nato in Scozia dopo la Seconda guerra mondiale ambientare un giallo, genere di per sé leggero, poco impegnato, in un contesto così difficile, controverso senza sembrare accondiscendente, senza essere irriverente? Invece Kerr è riuscito a restituire un momento storico difficile senza togliere nulla alla riflessione, narrando una tragicità quotidiana, sottolineando l’abominio e la “banalità del male”.
Mi spiace aver scoperto tardi questo autore scomparso troppo presto. Ora non resta che aspettare gli altri due episodi della trilogia, di cui Violette di marzo (317 pagine, 15 euro), tradotto da Patrizia Bernardini, è il primo capitolo, e sperare che Fazi decida di pubblicare tutti i tredici libri che hanno come protagonista Bernie Gunther.
Recensione di Anna Caputo
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