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A leggerlo ora, dopo l'esito (felice) del referendum sulla maldestra e devastante modifica predisposta dalla destra ai danni della costituzione, il pamphlet di Ainis è consolante: "L'abbiamo scampata bella", dirà il lettore che voglia farsi un'idea dell'entità del pericolo schivato. Ma Ainis, costituzionalista che ama parlar chiaro e fuori dai denti, non si limita al tentativo più recente e rovinoso di revisione. Accompagna il cammino della carta fin dai dibattiti in costituente e passa in rassegna puntualmente anche le operazioni avviate nel 1983, nel 1992 e nel 1997. Le sue conclusioni suonano volutamente conservatrici: "La rivoluzione più dirompente sarebbe applicare la Costituzione, quella Costituzione che è stata tradita mentre era ancora in fasce". Si tratta di una conclusione perentoria. Le esigenze di aggiornamento, se non di organica riforma, non nascono dal nulla: meglio farci i conti che schernirle in blocco. Non mancano pezzi di sicura efficacia. I nuovi meccanismi elettorali di segno maggioritario hanno originato guasti enormi: "Da un lato (al centro) ci attende un direttorio di segretari di partito senza popolo; dall'altro (in periferia) un direttorio di presidenti di Regione senza partito. Insomma, un doppio notabilato". In realtà il notabilato è l'unico fenomeno davvero plurale, e i sindaci hanno conquistato una posizione ben più eminente dei presidenti di regione. In parte ciò si deve a una reazione non ben calibrata al ruolo debordante dei partiti, già stigmatizzato da Mortati nel 1952. E allora che fare? Nessuno pretende da un piccolo libro ricette definite. Ainis ha voluto ridicolizzare velleità approssimative. Quanto al da farsi, se non maturano convinzioni serie e condizioni accettabili di convergenza sarà inevitabile tenersi la costituzione com'è: con i tradimenti che anche le fedeltà più appassionate tollerano, o consigliano.
Roberto Barzanti
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