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La prospettiva dello psichiatra che "cura" Dino Campana nel manicomio di Castel Pulci è ovviamente spuria: Pariani non può tacersi di avere fra le mani un "caso" letterario nel frattempo deflagrato, e cosa meglio del resocontare la ritrosia del soggetto a farsi ritrarre, ed il suo desiderio di oblio e di pace ? Quindi l'indagine scientifca, l'anamnesi, deborda dal suo campo e vuol diventare una sorta di fenomenologia del genio, ma quasi sottovoce, incidentalmente. Non dirò che questo atteggiamento grondi onestà intellettuale, eppure è l'unica testimonianza che ci rimane di uno dei più grandi poeti italiani, e di un anima afflitta, soverchiata. Pariani, del resto, corregge alcuni strafalcioni di presunti amici di Dino (vedasi: Bino Binazzi) che cavalcarono il nascente mito di Campana fornendo agiografie sbagliate, per la loro personale affermazione, e questo và a suo, di Pariani, merito. Verrebbe da dire che questo breve resoconto sia prezioso nonostante la ristrettezza di campo dell' indagine scelta dal suo estensore. Il volume è corredato da ricordi di persone che Campana lo conobbero, e vi ebbero a che fare, compreso l'Ardengo Soffici che riuscì a smarrire, e poi a non cercare fra le sue carte, il manoscritto cei "Canti Orfici" che Campana gli affidò, immaginiamo con quale trepidazione. Da questo confronto fra lo scontroso poeta ed il garrulo mondo "scapigliato" dei consapevoli intellettuali di allora, nasce involontariamente una qualche considerazione circa il fatto che la poesia trovi difficile diritto di circolazione soprattutto fra chi dovrebbe esser più dotato per capirne il valore, ma soffoca nel convenzionale. Da questo flebile materiale, qualche decennio, fa Sebastaino Vassalli trasse un' avvincente biografia del poeta di Marradi, pazzo per forza, perchè poeta.
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