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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
Vite brevi di idioti (1994) è uno dei primi libri di Ermanno Cavazzoni (il romanzo d’esordio, Il poema dei lunatici, risale al 1987), e per molti anche il suo capolavoro. Quel che è certo è che le strampalate biografie immaginarie qui raccolte (presentate come reali e ben documentate) confermano il punto di vista deviante da cui l’autore ha sempre guardato il mondo, la prospettiva “altra” che aveva contraddistinto gli scritti di poco precedenti usciti sulla rivista «Il cavallo di Troia» e che caratterizzerà le successive pubblicazioni, fino all’ultimo Gli eremiti del deserto (2016) .
Chi leggerà o rileggerà Vite brevi – ora riproposto da Guanda – si sentirà trasportare al di là di un confine che abbiamo varcato da tempo: quello della modernità. Da questo lato del crinale, qui dove viviamo ogni giorno, maneggiamo con cura e compostezza le nozioni psichiatriche; sappiamo, pur non avendo conoscenze specifiche, che la psicopatologia è una disciplina che esige rigore e serietà. Sappiamo che per ogni malato vi sono iter medici da rispettare e categorie in cui inserire i suoi sintomi. Più in generale, razionalizziamo la realtà; e l’operazione ha i suoi indubbi vantaggi, ma anche svantaggi evidenti in termini di fantasia e creatività. In questo libro non avviene niente del genere.
Cavazzoni eccelle nelle gustose spigolature di personaggi e storie colti prima che l’occhio asettico della scienza, della storia o di qualsiasi sapere sistematizzato e con tutti i crismi della serietà e della logica agisca su di essi, deprivandoli della magia che ha tutto ciò che per metà è conosciuto e per metà immaginato. Tra la storia e la leggenda, si sceglie senz’altro quest’ultima. Anche se il modo in cui vengono dipinti i protagonisti non si discosta troppo da come essi venivano percepiti nell’immaginario primonovecentesco. Animali da circo nella peggiore delle ipotesi, certo, ma anche individui strambi con addosso un marchio insolito e speciale. Salta all’occhio la stranezza, insomma, più che la patologia.
Sono trentuno vite di tragica ordinarietà. Le vivono idioti la cui follia poco ha da spartire con quella con cui si sono misurati molti scrittori contemporanei e che talvolta è stata nobilitata nel nome del suo potenziale critico ed eversivo nei confronti della sanità borghese. L’idiozia del signor Pigozzi, che muore per non essere riuscito a far volare correttamente una vecchia Fiat trasformata in rudimentale aeroplano, non ha scopi didattici e non si presta a letture di tipo sociale. La sua pazzia – e quella di tutti o di quasi tutti gli altri personaggi del libro – è superflua, inutile, nemmeno molto scenografica. Tuttavia, è il segno che diversifica le esistenze “in minore” di uomini e donne che, senza di essa, sarebbero destinati al più totale anonimato.
Recensione di Marco Giorgerini.
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