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Anno edizione: 2015
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Bel romanzo, scritto con mano sicura e voce accattivante, dotto senza essere stucchevole, con una tensione che accompagna il lettore dall'inizio alla fine. Messaggio disilluso, sconfitto ma non arreso: finché c'è voglia di vita, e di scrivere, bene, e di leggere, c'è speranza.
Concordo con l'autore dell'unica recensione sinora apparsa: libro denso, pieno, intenso. Rilevo che soltanto il finale non mi convince appieno: effetti scenici alla "caimano", seppure indice di una consumata maestria.
Di solito tendevo a considerare i premi letterari italiani degli ultimi anni come preziose indicazioni alla rovescia: i libri da non leggere. Ma quest'anno ho dovuto ricredermi: la partecipazione al Premio Strega di questo meraviglioso autore, di questo coraggioso editore, e di questo splendido, sontuoso, tremendo romanzo ha portato una nuova luce di speranza nell'agonizzante narrativa nostrana. E chi vuol farsi del bene non ha che da leggerlo. Dall'inizio alla fine una delizia assoluta. Ma le ultime pagine, da quelle che narrano la trasferta austriaca del protagonista a certe annotazioni splendidamente lucide e ultrapoetiche sull'amore coniugale (argomento su cui si rischiano banalità ogni volta che si apre bocca!), fino a comprendere tutto il finale, mi sembrano, a proposito di premi, semplicemente da Nobel: non che il resto sia inferiore, intendiamoci, ma capita spesso in un libro di imbattersi in una densità particolarmente strepitosa di scrittura buona, ispirata, felice, perfetta, e io l'ho riscontrata nei capitoli finali. E di solito questo, guarda caso, accade solamente coi Grandissimi Scrittori, mentre le mezze calzette furbette lustrano e rilustrano l'incipit con effetti speciali e cappelli da pagliaccio per poi sbavar via in calando: quanti romanzetti abbiamo letto che partono con ambiziosi squilli di tromba per poi affievolirsi in una misera, silente scorreggia? Be', qui Zardi-Mozart è una sinfonia tragica che ci accompagna fino all'ultimo punto, senza mai tradirci, senza mai imbrogliarci, senza mai abbandonarci con la scusa che ormai il biglietto lo abbiamo pagato. Perché Zardi scrive della vita, e la vita, come la buona scrittura, è un flusso sanguigno continuo e torrenziale. Perché questo fa la grande Narrativa: DICE la vita, più e meglio di tutti i saggi socioantropologici di questo mondo.
Recensioni
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Il venditore di depuratori e l’attesa di un ritorno alla vita
In una fotografia del nostro cosiddetto mondo occidentale scattata poco prima della sua fine o appena dopo o durante, è stupefacente vedere come Paolo Zardi non sbaglia un periodo e una frase, con descrizioni e una penetrazione della realtà tagliente, precisa e allucinata allo stesso tempo, come un pugno che ti colpisce allo stomaco. Lo sfondo di XXI secolo (160 pagine, 13 euro), bellissimo romanzo edito dalla giovane, intraprendente e indipendente casa editrice abruzzese Neo edizioni e che ha portato l’autore padovano fra i 12 finalisti del Premio Strega 2015, è la realtà dei nostri giorni, quella della cosiddetta crisi, abusatissima parola e mantra triste e spoglio di una condizione che è prima di tutto esistenziale.
Un romanzo, il secondo di Zardi dopo gli esordi con le raccolte di racconti (quelli strani oggetti letterari che molti dicono non vendano), Antropometria e Il giorno che diventammo umani, sempre da Neo edizioni, dove il genere distopico sembra essere un pretesto per una narrazione di tipo realistico e viceversa, dove il sociale e i suoi guasti si sovrappongono al dato più intimo e privato dei personaggi. Con uno stile che concede poco o niente all’immaginifico o al fantastico, ma allo stesso tempo con una potenza e una penetrazione di sguardo a tratti visionari, in XXI secolo il dramma privato di un marito che scopre il tradimento della moglie quando lei è oramai ridotta a un vegetale in un letto di ospedale, va di pari passo con quello pubblico di una società allo sbando, con schiere di ragazzini che svaligiano ipermercati della tecnologia, violenze, sopraffazioni e disordini vari: lo Zar di Russia in lotta con la Cina; l’Uruguay che per difendersi dall’aggressiva politica del vicino Brasile chiede aiuto all’India e altre affascinanti e immaginifiche distorsioni geopolitiche.
L’andamento di questi due drammi paralleli è incalzante fino al finale, che non intendo svelare, volendo comunque solo accennare ai fin troppo metaforici ed esemplificativi atti di cannibalismo, black out e incendi vari. In un quadro così forte e desolante spicca il dramma privato di un uomo e di una famiglia che il protagonista cerca di difendere con le unghie a dispetto di tutto, perché è tutto quello che ha: una moglie fedifraga in coma; i propri figli; il proprio lavoro di venditore di depuratori d’acqua che una volta era ricchezza e soprattutto l’amore, o qualcosa che gli assomiglia, un fuoco sotto la cenere che non si è ancora del tutto spento, forse questo il vero protagonista o attore non protagonista. Senza la necessità di doverlo connotare, questo qualcosa che è rimasto parla di tutti noi, del futuro che faremo e che saremo. La lotta e le pur flaccide carni dell’eroe del romanzo, il venditore di depuratori, è sempre sullo sfondo e dà il tono e la dignità al racconto come in ogni grande opera, come nella vita.
Mi sento solo di aggiungere alcune notazioni sullo stile, quella cosa che è la portatrice della testimonianza “etica” di ogni scrittore e che fa dire a Gottfried Benn: “Lo stile è superiore alla verità, porta in sé la dimostrazione dell’esistenza” o per dirla con Nabokov: “Lo stile e la struttura sono l’essenza di un libro, le grandi idee sono inutili”. Questi due aforismi possono essere benissimo applicati a XXI secolo se come ritengo nella letteratura più alta, quella che merita lettura e approfondimento, lo stile è imprescindibile dai contenuti, determinandoli. Due passaggi e scene del romanzo possono valere da esempio di caratteristiche stilistiche che avvalorano e connotano i contenuti della narrazione. Sono due incisi e digressioni, apparentemente secondari al plot del romanzo: la descrizione della foto del pene (chiunque leggerà la troverà). Mi domando se c’era bisogno di specificare questo dettaglio e mi sono dato la risposta. Sì, ce ne era bisogno e ancora, la scena del bacio alla badante come l’incontro casuale di due solitudini. XXI secolo di Zardi è soprattutto un romanzo sulla famiglia, nonostante tutto Alpha e Omega di ogni individuo e società, sana o malata che sia. Durante la lettura è come se ci trovassimo tutti in quell’ospedale alto duecento metri dove si trova Eleonore, la moglie del protagonista in coma e in attesa di un risveglio. In quel tempo sospeso che è sempre una degenza in ospedale individui e società sclerotizzate e “al capolinea” attendono il loro risveglio, il loro ritorno alla vita, all’amore e alla speranza.
Recensione di Simone Bachechi
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