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Piccolo grande romanzo, che contiene molti tratti autobiografici e la partecipazione accorata dell'Autore, da leggere con tutta l'attenzione possibile per scoprire il fascino di ogni pagina.
Il cantore del crollo del mito asburgico sceglie questa volta di lasciare le vicende storiche confinate nello sfondo. La narrazione, sviluppata dall’Autore nel 1927, ha un avvio brioso che corrisponde all’adolescenza dell’io narrante e del compagno Arnold Zipper, per proseguire con l’esperienza dei due amici durante la Grande Guerra a cui segue il loro allontanamento durante il periodo post-bellico. Le ultime pagine, una riflessione sul fallimento di un’intera generazione, sono di rara profondità e risultano profetiche.
Capolavoro assoluto della letteratura mitteleuropea!Ho letto tutta l'opera di J. Roth e sicuramente questo è il suo libro più bello.Sono 170 pagine di assoluto piacere dell'anima.Consigliatissimo!
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Schwalblein, H., L'Indice 1987, n. 3
Finalmente tradotto in italiano, questo romanzo che Roth scrisse nel 1927 e l'editore Kurt Wolf pubblicò nel 1928, andrebbe letto, a mio avviso, in una duplice chiave che un poco si allontana dal modo abituale con cui abbiamo letto gli altri romanzi di Roth. Da un lato infatti c'è la Berlino degli anni Venti, il mondo del cinema, una vita metropolitana dominata dalla provvisorietà e dalle apparenze; dall'altro c'è un personaggio, Arnold Zipper, che può caricarsi di non poche valenze autobiografiche, per il modo stesso con cui Roth, divenendone cronista attento e partecipe, ce ne mostra la vita di tutti i giorni, i pensieri, le piccole azioni.
D'altronde è lo stesso Roth, nella "Lettera dell'autore" ad Arnold Zipper che conclude il romanzo, a sottolineare queste affinità, quando scrive: "... io stesso credo di riconoscermi in te. Sì, ti confesso che a volte mi sembra che io potrei essere te, e stare io su quel palcoscenico del varietà a fare quei vani tentativi di cominciare a suonare il mio violino".
Perché Zipper - come ci racconta il romanzo - dopo essere stato compagno di studi di Roth nella Vienna prebellica, compagno d'armi durante la prima guerra mondiale, abituale frequentatore dei caffè viennesi nel dopoguerra, sposa finalmente un'attricetta di teatro, Erna Wilder, che diventerà, prima a Berlino poi a Hollywood, una diva del cinema; mentre lui, il povero Zipper, si contenterà di starle vicino facendo il cronista cinematografico per il quotidiano berlinese della sera (come fece anche Roth allora) e finirà, abbandonato e solo, a fare il violinista in un circo, in un numero di clown in cui è costretto a interrompere la sua esecuzione musicale dopo le prime battute.
Il romanzo, che è come diviso in due parti -la prima delle quali descrive il padre di Zipper e la sua famiglia nei modi e nei toni ai quali Roth ci ha abituati -, è al tempo stesso la cronaca discreta e illuminante di questo fallimento esistenziale e la descrizione d'un ambiente, la Berlino cinematografica, che ha il carattere d'una rappresentazione letteraria straordinariamente efficace. Cosicché, per il lettore, è come entrare in un mondo affascinante e vacuo (e conforme alla realtà del cinema di allora) e al tempo stesso seguire da vicino le peripezie di un giovane in crisi, che ci dice parecchio sulla vita di Roth nella Berlino di quegli anni.
Se poi siamo capaci di dare al personaggio di Erna Wilder il volto e le fattezze di Friedl Reichler, la ragazza che Roth sposò nel 1922, allora la storia di Zipper si carica ancor più di elementi autobiografia e assume un carattere un poco inquietante. Anche perché Friedl Reichler anticipa, come appare in una foto del 1922, la conturbante bellezza di una attrice come Louise Brooks.
Letto in questa duplice chiave, "Zipper e suo padre" supera addirittura gli altri capolavori di Roth. Non già perché sia di essi più bello (anzi!) ma perché ci consente di conoscere dall'interno certi aspetti della vita di Roth che conoscevamo meno: il Roth innamorato, il Roth critico cinematografico, il Roth berlinese.
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