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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
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Per chi ama la scrittura di Margaret, questo monologo non puo mancare. Profondo e riflessivo nella sua semplicità. Uno spaccato di vita. Un flusso di pensieri stupendo.
Premetto di non amare i monologhi e i flussi di coscienza e di avere un rapporto conflittuale con le opere di Margaret Mazzantini. Detto questo, la storia di Zorro, senzatetto un po' scorbutico, non è male. Era sempre stato un uomo comune, dall'infanzia serena, con un lavoro e una moglie, finché una telefonata non ha sconvolto tutti gli equilibri, facendogli decidere di allontanarsi da tutti, anche dal legame forte con la sorella Nanda. Adesso vive per strada, ma non allunga la mano per chiedere aiuto, si reca dalle suore per i pasti di cui necessita e ogni tanto fa anche una doccia per togliersi di dosso l'odore di "selvatico" e, dal piccolo cantuccio in ombra nel quale si è rifugiato, osserva l'umanità che lo circonda. È un breve testo, pensato e scritto per il teatro e credo che, in quel contesto, sia destinato a rendere molto di più!
Ho letto il libro su suggerimento di una donna, un tempo a me molto vicina, convinta che potessi portarlo in scena. L'ho fatto una sola volta, diversi anni fa. Ho ripreso il libro quest'estate. L'ho riletto. Gli anni di distanza me lo hanno fatto amare come mai prima. Mi ci sono ritrovato in pieno. Ho sentito Zorro vicinissimo, lui di là da quella sottilissima linea di rasoio su cui conduciamo la nostra vita. Penso che, se non fossero i miei due figli, che hanno ancora bisogno di me, a tenermi in bilico su quella linea, avrei potuto raggiungere l'eroe mascherato. Proprio per quel senso di libertà che lo sostiene. Lo voglio riportare in scena. E lo riporterò con una consapevolezza maggiore, usando il testo come un manifesto politico - se nessuno si offende - verso chi pensa di mandare avanti il mondo creando facilmente gli ultimi. E lasciandoli indietro.
Recensioni
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Quest'ultimo agile libretto di Margaret Mazzantini è nato come partitura teatrale, scritta per Sergio Castellitto, ma si è subito animato di vita propria, traendo spunto dall'esperienza quotidiana dell'autrice. "Sono uscita e ho incontrato un tipo che incontro spesso nel mio quartiere, - scrive l'autrice nell'introduzione - un barbone con cui ho una certa confidenza, uno che viaggia a vino e cipolle accanto a un canetto sfibrato tenuto da uno spago. Ci vuole cautela, ce l'ha con le donne Cercavo una buona idea per Sergio Castellitto qualcosa che desse vita alla sua parte muta. Così ho pensato: scrivo di uno che sta in strada, senza sociologia, solo un'anima che vaga, che strepita." Nasce così un'originale monologo in cui Zorro, un senzatetto, racconta la sua storia di uomo qualunque ma anche speciale, un uomo a cui il destino con una mano ha dato ma ha anche tolto, uno "naturalmente incazzato", che affronta con il suo cane le durezze della vita. "Un anatraccio curioso che risale il fiume e scruta i regolari, i 'Cormorani', quelli che stanno nel recinto della società organizzata", così lo definisce la Mazzantini, che con il suo racconto indaga una paura presente in fondo a ognuno di noi: la paura del rifiuto da parte del mondo "regolare", l'isolamento tra i diversi. Zorro non è nato barbone: un tempo era un bambino come tanti, aveva un famiglia e una casa. Ora ricorda quei tempi, rivivendoli nel suo racconto, tra sprazzi di lucidità e visioni della memoria. Rievoca anche il fantasma della donna amata e di una vita dai rassicuranti toni familiari; una dimensione svanita per sempre, ora che gli unici moti di affetto può carpirli solo alle sensibili volontarie della mensa dei poveri. Con stile diretto e linguaggio colorito che sembra uscire al momento dalla bocca del protagonista, l'autrice ci apre il cuore e la mente di un uomo piegato dal destino ma non sconfitto, che con la sua vita al di fuori di ogni schema ci è più vicino di quanto immaginiamo: perché ci ricorda l'altra faccia della nostra esistenza, "quella faccia affamata e sparuta che avresti potuto avere se il tuo spicchio di mondo non ti avesse accolto".
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