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ottimo reportage sui fatti del 1968, in classico stile Volcic, completo, efficace, sintetico e a tratti dissacrante.
Recensioni
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Questa trascrizione, dal programma di Radio2Rai "Alle 8 della sera", della puntata dedicata all'effimera primavera praghese del 1968 attesta efficacemente come un buon giornalismo possa diventare utile fonte storica, e anche asciutto racconto. Anziché misurare speranze e delusioni con il senno di poi accumulato in un convulso quarantennio (esercizio nel quale molti si sono esibiti), Volcic intreccia sussulti e progetti della stagione che ebbe in Alexander Dubcek il suo fragile eroe con le paure e le sconfitte di vent'anni prima, quasi a suggerire una periodizzazione dotata di una percepibile continuità. La quale, tra l'altro, si coglie negli stessi sentimenti dell'opinione pubblica. La ferita del '48 non si rimarginò mai e le aperture che si ebbero vent'anni dopo indussero a interrogarsi di nuovo sul passato, non solo a guardare con speranza a un possibile futuro. Le circostanze della morte di Jan Masaryk (10 marzo 1948) non sono mai state chiarite fino in fondo: anche se la tesi del suicidio apparve da subito poco probabile, perfino tra i fedelissimi di Masaryk non pochi si rifiutarono di negarla alla radice. Preziosa la confessione rilasciata da uno dei suoi tre segretari personali, il dottor Sum: voleva credere nel suicidio "perché, secondo lui, una morte così dichiara era più significativa di un volgare omicidio". Questo dettaglio dà l'idea del tipo di reportage proposto da Volcic. Fitto di spaccati e incontri che, uno dopo l'altro, compongono un'inchiesta meritevole di un'edizione a stampa. Si veda la parte riservata all'incidente di macchina (settembre 1992) nel quale perse la vita Dubcek. La meccanica fu spiegata piuttosto vagamente. L'autista non andò mai oltre un'indicazione assai nebulosa: "Aveva sentito ripeteva a chiunque gli ponesse il problema qualcosa di anormale come una pressione sulla gomma anteriore destra".
Roberto Barzanti
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