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l'opera propone una idea epistemologica singolare, ma incongrua al contesto psichiatrico nel quale l'autore cerca di iscriverla. L'idea che il milieu materiale e non umano cioè non interpersonale possa costituire elemento di euristica psichiatrica per la intelligenza della esperienza schizoide, è anzitutto un postulato etnico-antropologico e non psicologico e resta una idea epistemologica eccentrica, ignota al contesto della ricerca scientifica di campo. L'autore descrive stati di coscienza e performances schizoidi acquisite durante la sua esperienza manicomiale che sono utili a integrare lo scibile della intelligenza dissociata, ma il materiale che presenta diventa inutilizzabile in ambito scientifico operativo di fondazione cognitiva o analitica, diverso cioè dal suo, che è antropoetnico. Ne deriva che la fondazione epistemologica materialistica e la gnoseologia antipsicologistica che l'autore cerca di imporre sul paradigma classico interpersonale e sociale della psichiatria non clinica e della psicoanalisi, costituisca una forzatura di metodo per affermare una epistemologia della follia diversa da quella genericamente cognitivista o comunque analitica della tradizione scientifica. Non c'è un solo punto dell'opera in cui questa falsa rivoluzione dell'axioma di fondazione della procedura di intelligenza e ricerca del campo semantico interessato nella esperienza psicotica, possa indurre pur tenue dubbio che vi sia qualcosa di nuovo nella idea di Searles. Se si considera che l'opera è scritta nello stesso anno in cui compare il manifesto psicologistico dell'antipsichiatria (the self divided) si ha la misura della voluta e provocatoria simmetria di metodo che la contrapposizione epistemica di Searles intende vanamente postulare. Nell'opera, la contraddizione esplode infatti nel punto che tratta lo specchio, nota fonte di angoscia per la coscienza schizoide; qui l'autore postula la oggettività della rifrazione speculare senza inferirne il carattere immaginario e ontologicamente abnorme per il pensiero psicotico
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