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Anno edizione: 2019
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Bel libro, interessante, con il solo difetto di essere un po' ridondante. I messaggi principali mi sembrano tre: 1. chi in Italia si occupa di 'politica musicale' ha una grande responsabilità: non promuovere a sufficienza la musica 'classica' contemporanea, preferendo ripetere per l'ennesima volta la consolidata programmazione tradizionale. Questo impedisce di fare spazio a giovani autori di talento e a possibili, nuove frontiere della musica, che con più tenacia andrebbero stimolate, educando così anche l'ascoltatore a ciò che di bello si può trovare nel nuovo. 2 la rapidità imposta dalle piattaforme musicali tecnologiche (da spotify in giù) sta disabituando l'ascoltatore alla bellezza della complessità della musica, relegata ormai a soprammobile di contorno; o, peggio ancora, a inutile sottofondo che non deve disturbare. Ciò impedisce di cogliere il lavoro profondo di un autore, appiattendo l'ascolto a banalità fuggenti e musicalmente tutte uguali a loro stesse. 3. per lo spettatore è molto difficile, soprattutto a teatro ma anche solo all'ascolto, immedesimarsi con la vita dei personaggi delle opere classiche, che spesso mettono in scena storie lontane dalle vicende quotidiane dei tempi d'oggi. Per questo, le opere contemporanee andrebbero incoraggiate, e quelle classiche spiegate, permettendo così quella sana alienazione che è parte della funzione artistica.
Quanto la qualità di un evento musicale viene rispettata e preservata nell’attuale trasmissione informatica, vastissima, incontrollata, pervadente? All’utente di Spotify è garantita una fruizione intelligente, meditata, consapevole di ciò che ascolta? E al compositore di adesso, cui si offrono opportunità esplorative prima inesistenti, è assicurata la capacità di mantenere una creatività genuina, non contaminata? Partendo da premesse generali sui dati sconfortanti che riguardano la promozione e la diffusione della musica classica (in particolare di quella contemporanea), l’autore constata quanto poco spazio le venga riservato dai media. La musica colta è considerata “un reperto sopravvissuto a un passato certamente illustre ma ormai costoso e inutile”, priva di futuro perché difficile da capire, male insegnata nelle scuole, poco sfruttata come evento culturale. Il repertorio attuale è ignorato per la diffidenza di sovrintendenti interessati solo a riempire i teatri, ma anche per la pigrizia mentale e il sospetto di direttori d’orchestra, strumentisti e cantanti, i quali temendo contestazioni non si azzardano a proporre opere ritenute troppo innovative. Non sono pertanto gli autori, ma i responsabili delle istituzioni culturali che dovrebbero incoraggiare una programmazione moderna costante, varia e di qualità, per incrementare l’ascolto di musica classica d’avanguardia. Un ulteriore stimolo potrebbe venire dalla rete, che ha completamente modificato il modo di produrre musica e di fruirne, permettendo a tutti di ascoltare qualsiasi cosa in diretta streaming, di assistere a concerti e registrazioni su YouTube, di mescolare differenti generi musicali. A questo punto, forse solo la musica classica può rappresentare una ribellione all’omologazione preconfezionata che ci propinano i media, aiutandoci a fare della nostra vita qualcosa di più autentico e arricchente.
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