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Metaforizzando due definizioni scritte in quest'indimenticabile e vivo racconto di Ryszard, "Ancora un giorno" può esser letto come un «fronte potenziale» per la fervida speranza di non rivivere nel tempo ciò che è accaduto in passato, e come un «fronte reale» che riesce a riportare indietro nel tempo chi legge e a fargli vivere quasi in prima persona ciò che si spera non vivrà mai...
Da questa breve cronaca è nato anni fa il mio amore per questo Autore. Non sono molti i suoi libri che non ho letto, li posso contare sulle dita di una mano. La ragazza della foto di copertina, figura abbagliante in un breve capitolo, fu uccisa il giorno dopo quello scatto.
Il miglior Kapuscinski. Non è un romanzo ma affascina come un romanzo. Bellissimo, umano, scritto con grande scioltezza. E non importa se l'Africa vi interessi o meno: leggetelo.
Recensioni
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Luanda, capitale dell'Angola, nel 1975 era una città chiusa. Ryszard Kapuscinski, scrittore e reporter sempre in prima linea, era là, alloggiato per mesi in una stanza dell'hotel Tivoli, e dalla finestra vedeva la baia e il porto. Seguiva il movimento delle navi e intuiva la piega che avrebbero preso gli eventi. Era in corso una guerra per la liberazione dai portoghesi e varie fazioni si combattevano: il Movimento popolare per la Liberazione dell'Angola, Mpla, si scontrava con l'Unita e con il Fnla, due formazioni finanziate dai portoghesi, in aiuto alla loro polizia politica segreta. Tutti scappavano, abbandonando la capitale assediata dalle truppe di liberazione. Kapuscinski, a Luanda, narrava quella fuga nella totale confusão, uno stato di anarchia e disordine nel quale si mischiavano i portoghesi con le loro valigie, i commercianti, i militari, gli spazzini e, alla fine, i cani randagi che si aggiravano nelle vie deserte. Descriveva una città senza più la polizia degli occupanti, che trasmetteva senso di libertà e leggerezza, ma anche una grande inquietudine. Da lì il reporter si spostò al fronte, a Caxito, sessanta chilometri a nord di Luanda. Ai posti di blocco, se eri un camarada, un portoghese bianco e con la barba, dalla parte del Mpa, filava tutto liscio; ma se eri un irmão, l'appellativo che si erano dati gli agenti dell'imperialsmo, allora si scatenava l'inferno.
Kapuscinsky riuscì a scendere al fronte meridionale della battaglia, a Benguela, seicento chilometri a sud di Luanda, lungo la costa. Lì incontrò Carlotta, la scorta armata assegnatagli da un comandante del fronte, una ventenne mulatta col mitra a tracolla, che lo colpì subito per fascino e determinazione. Nata vicino alla frontiera con la Namibia, addestrata militarmente nelle foreste, Carlotta dopo la guerra voleva diventare infermiera. Fu lei a guidare Kapuscinsky e la troupe di una tv straniera nel deserto infernale dell'Angola, tra cadaveri in decomposizione e sentinelle ai bordi delle strade; lei li salutò l'ultima volta a Balombo, ai confini della foresta, in un villaggio dove un'improvvisa sparatoria le tolse la vita.
Kapuscinsky ci trascina in una terra martoriata e i trentatre anni che ci separano da quell'11 novembre del '75 sembrano dissolversi. Leggendo i telegrammi inviati alla sua agenzia di stampa polacca Pap da Lubango, con gli aerei in partenza per il Portogallo zeppi di famiglie impaurite, mentre l'Angola voltava pagina e conquistava l'indipendenza, riviviamo non solo una cronaca delle battaglie ma anche l'atmosfera di un mondo profondamente diverso dal nostro, osservato con l'occhio curioso di un bambino e la freschezza vivace di un adolescente. Un libro-reportage di uno scrittore che, come in Ebano e Il Negus, è attento in primo luogo agli esseri umani, e alle poche, umili e belle persone con cui condivise quei momenti di sconforto e trepidante attesa.
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