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Anno edizione: 2020
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Un libro che vale la pena leggere, ben documentato sul periodo postunitario, più sbrigativo ma non superficiale sul periodo del secondo dopoguerra: ma certi aspetti come il terremoto del 1980, il radicamento delle mafie al Nord o il clientelismo meritavano maggiore spazio, perché spiegano molto dei cosiddetti "pregiudizi" antimeridionali, molto più - a mio modestissimo parere (non sono uno storico) - che non i titoli dei giornali o le opere letterarie e teatrali continuamente messi sul banco degli imputati.
Ancora un saggio sulla questione meridionale, ma ancora meglio, sull'antimeridionalismo: i dibattiti sull'argomento, da prima del 1860, hanno in qualche modo fornito argomenti a sostegno o contro le tante teorie storiche o sociologiche o antropologiche o letterarie sulle diversità dei meridionali. De Francesco aggiunge nuovi motivi di riflessione contro i tanti luoghi comuni e stereotipi, che hanno costruito quei tratti "caratteristici" dei popoli meridionali, causa di tante incomprensioni, ingiustizie e crimini. Comunicare al mondo certi tratti morfologici, abitudini popolari, riti, superstizioni perseguiva scopi precisi. Ai baroni feudali serviva per dimostrare quanto fosse giusto tenere sottomessa quella plebaglia ignorante e sporca. Ai vicerè spagnoli serviva per giustificare le ragioni del loro dominio su questa parte d'Italia. Poi è servito ai Borboni. E poi ancora è servito a Casa Savoia, alla mafia e alla camorra. E successivamente all'industria piemontese e lombarda del dopoguerra accentuare e sottolineare quel dualismo, certamente insito nella realtà meridionale, ma dolosamente esasperato e ingigantito dalle classi dirigenti. Insomma pochi sono stati quelli che hanno raccontato le verità del Sud e tanti quelli che hanno trovato più comodo e utile sciorinare i triti e ritriti quadretti di colore, che oggi si ritiene appartengano alla tradizione. Né è sfuggito a questo sport nazionale quel mondo caratteristico della canzone napoletana propagato da autori come Salvatore Di Giacomo o Ferdinando Russo, né il teatro di Eduardo De Filippo.
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