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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, raggiunge il traguardo del numero 100. È stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. “Una rivista di discussione transatlantica – la definisce il Presidente Giulio Tremonti – che rappresenta un luogo di incontro tra mondo delle imprese e altri mondi”. Secondo il suo fondatore Giuliano Amato “Aspenia è una rivista “responsabile” che è riuscita a stare dalla parte della storia e della sua velocità. Nessuno dei grandi temi degli ultimi anni è assente dalle sue pagine”. Come spiega Marta Dassù “Aspenia ha anticipato spesso i grandi mutamenti della politica e dell’economia internazionale e interpretato la trasformazione del sistema occidentale negli ultimi decenni”. Il numero 100 della rivista - in uscita a fine marzo- è interamente dedicato all’Italia o meglio a “Noi Italiani”, quasi una sorta di “rovesciamento” della sintesi attribuita (forse erroneamente) a Massimo D’Azeglio, per cui al momento dell’Unità si era fatta l’Italia, ma andavano a quel punto fatti gli italiani. Si è piuttosto di fronte a un circolo vizioso, per cui i limiti della società civile sono legati a doppio filo con quelli del sistema paese? E, allora, come si ricompone il “puzzle Italia” ? Hanno contribuito al numero 100 di Aspenia, tra gli altri, Giuliano Amato, Giulio Tremonti, Massimo Livi Bacci, Lucio Caracciolo, Michele Valensise, Mario Del Pero, Giulio Sapelli, Antonio Calabrò, Stefano Cingolani, Maria Latella, Marina Valensise, Gianni Riotta, Federico Rampini e Carlo Jean. L’Italia si porta dietro dalla sua stessa nascita come Stato, con il Regno di Sardegna, i Savoia e l’opera di unificazione guidata da Cavour l’annosa questione del rapporto tra rango, ruolo e presenza stabile nei maggiori consessi internazionali. Cavour riuscì a creare, tra i “paesi di prim’ordine” un’accondiscendenza adeguata alle esigenze di un “paese di second’ordine” – la futura Italia. La domanda da porre oggi – spiega nell’editoriale di apertura Giuliano Amato – è “se siamo ancora un paese di second’ordine”. Certamente abbiamo avuto degli sprazzi da paese di prim’ordine, come dimostra la storia dell’integrazione europea: quattro paesi con eguale diritto di voto in Consiglio – Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. L’unione monetaria nasce, così come Schengen, da un’intesa franco-tedesca a cui l’Italia si è aggregata con un sostegno attivo. Inoltre, dall’Atto unico di Milano nel 1986 ha preso il via il completamento del mercato unico. E nel 1992 l’Italia ha dato il suo assenso al fondo europeo di coesione, passando così da beneficiario netto a contributore netto. Oggi, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, l’Italia assume un ruolo ancora più strategico. Nell’ottica di quella che Janet Yellen, ha definito “globalization among friends”, si può pensare a rilanciare il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che si arenò nel 2016 e perseguirlo in modo selettivo, per quei prodotti e servizi in cui si mira ad una vera autonomia strategica dalle supply chain globali. L’Italia può diventare l’ago della bilancia in ambito di Consiglio europeo, e questo permetterebbe di compiere progressi verso una politica industriale europea. Dare una valutazione oggettiva dell’Italia come sistema-paese può disorientare l’osservatore: esistono evidenti punti di debolezza, antiche questioni culturali irrisolte, carenze istituzionali. Eppure, ci sono anche nicchie di eccellenza e una tenuta complessiva che emerge soprattutto nei momenti di crisi. C’è quindi da risolvere un “puzzle Italia”. Partendo da una consapevolezza: l’Italia è oggi – come sostiene Giulio Tremonti – “l’unico paese in Europa fortemente duale, ovvero caratterizzato, al suo interno, da una enorme differenza tra Nord e Sud. Negli anni Novanta, anche per colmare tale divario, si è innescato il meccanismo perverso del debito pubblico trasformando così la democrazia italiana in una mal
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9791254832653
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