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Anno edizione: 2019
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Un bellissimo romanzo ambientato in una parte indefinita della Lucania, con avvenimenti che spaziano nell'arco temporale di più di un secolo. Lo stile ricorda un po' Stefano Benni
Molto apprezzato! Percorre decenni della storia italiana, dal Risorgimento agli anni 90, dal punto di vista del popolo del Sud con tutte le sue superstizioni, tradizione e folklore. È un testo ricco di simboli e personaggi che si alternano tra le pagine del libro come su un palcoscenico, ho avuto l'impressione di essere davanti una rappresentazione teatrale, non un semplice romanzo. La molteplicità dei personaggi e degli eventi richiede una certa continuità di lettura, diversamente si rischia di perdere il filo. Indubbiamente un libro che arricchisce!
C’è un tipo di scrittura che sublima la realtà, la edulcora e ne smorza i toni per limarne gli spigoli e raddrizzarne le storture; un modo di narrare che induce a guardare sotto l’unica lente della “giusta” prospettiva, della luce più chiara, dell’anima più limpida dei suoi personaggi. Ebbene, non è questo il tipo di scrittura che caratterizza le pagine del nuovo libro di Michele Lamacchia, anzi… Qui le scene, vere e proprie rappresentazioni storico-ambientali e umane, sono raccontate attraverso le maglie ruvide di una trama letteraria che graffia e lascia dei segni, in un linguaggio schietto che più vero non si può. Ogni personaggio è alle prese con i propri demoni, fantasmi, errori, timori e personali “rivoluzioni” realizzate o mancate, sullo scorcio di un remoto (e fittizio) avamposto lucano, realtà sospesa nel tempo e appena raggiunta – sembrerebbe – dall’eco dei dinamismi e dei fermenti storici e culturali che investono in quello stesso frangente (siamo negli anni Novanta) il resto dell’Italia. Una storia, tante storie intrecciate insieme alle vicende umane dei suoi personaggi e declinate nei vari particolarismi, nelle faccende e negli affanni di questa geografia meridionale: c’è il racconto, la vita e la strada che accoglie e rigetta, salva e condanna, lasciando anche cadere e morire. Tutto nel libro è simbolo: parla al presente, accompagna in anfratti remoti e rimanda continuamente ad altro, all’altro aspetto della facciata, tanto che (a cominciare dal paesaggio, grande protagonista della narrazione) nulla è davvero come appare. Tutto converge sul Montedoro, come ad un arcaico appuntamento fissato nello stesso luogo e nello stesso giorno, recando con sé un indimenticato retaggio del passato, l’illusione e la speranza di un cambiamento...
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