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Le date a volte contano. 1764 : Cesare Beccaria pubblica il celebre saggio "Dei delitti e delle pene" contro la tortura e la pena di morte. 1764 : Horace Walpole pubblica il romanzo "Il castello di Otranto", considerato il capostipite del romanzo gotico. 1761 : Giovanni Battista Piranesi pubblica la seconda edizione (la prima risale addirittura al 1745) delle sue "Carceri". Tre opere nel giro di tre anni, i conti tornano. A tornare un po' meno, forse, le definizioni. Perché, se nel primo caso ci troviamo in tutta evidenza di fronte al pamphlet di un illuminista e nel secondo a un testo narrativo di genere romanzesco, nel caso delle "Carceri d'invenzione di G. Battista Piranesi architetto veneziano" (questo il titolo completo) le cose si complicano. Già, che cosa sono le "Carceri" di Piranesi? Tecnicamente parlando, sedici incisioni all'acquaforte che raffigurano carceri sotterranee di fantasia, popolate da muri altissimi, scale ripide e senza meta, passerelle sospese nel vuoto, misteriose scritte in latino, strumenti di tortura, figure umane - non molte - prive di identità. Insomma, un luogo più simile a certi gironi infernali di dantesca memoria che alle luminose architetture neoclassiche che di lì a non molto sarebbero spuntate in mezzo mondo. "Con le "Carceri" Piranesi è il solo degli italiani ad affacciarsi sull'abisso del caos." (p. 32) Ecco, con l'aiuto del bellissimo saggio introduttivo di Mario Praz, cominciamo a capire meglio. Le "Carceri" non sono soltanto un esercizio di stile di un architetto veneziano innamorato delle vestigia di un passato glorioso e lontano. Sono una finestra sull'abisso dell'inconscio. Con buona pace del caro vecchio Sigmund, che sarebbe nato a Vienna solo un secolo più tardi. Come avrebbe detto qualcuno - di nuovo un secolo più tardi - "L'inferno e il paradiso sono dentro di noi"... Buona discesa agli Inferi!
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