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L'infinito conflitto fra israeliani e palestinesi è lo sfondo, ma anche il protagonista, di questo romanzo, dove due figure principali, il prigioniero Z e il Generale, narrano la loro verità, o perlomeno ciò che ritengono essere la verità. Il prigioniero Z è un ex agente segreto israeliano che si è trovato coinvolto in situazioni più grandi di lui e per questo ha fatto delle scelte che a suo giudizio sono state quelle più giuste, ma a giudizio dei suoi superiori l'hanno marchiato come un traditore. Per questo langue in una prigione segreta nascosta nel deserto del Negev in attesa di un impossibile riscatto. Il Generale assomiglia molto all'ex Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, protagonista nella realtà di eventi fra i più drammatici del conflitto arabo-israeliano, e che qui nel romanzo si trova nello stato di coma. A fianco di questi personaggi principali ve ne sono altri che contribuiscono a definire il contesto storico ma anche psicologico del romanzo e, tutti insieme, formano una sorta di "matrioska" con racconti uno dentro l'altro, ognuno dei quali porta con sé una parte di verità perché ognuno testimonia una esperienza vissuta, una sensazione provata, un fatto compiuto. E da ogni punto di vista emerge un quadro composito, dove agli enormi problemi socio-politici che contraddistinguono il conflitto arabo-israeliano, si affiancano i problemi individuali, meno appariscenti, ma altrettanto fondamentali: il tema della fedeltà al proprio Paese o ai propri valori, i confini fra tradimento e affermazione di giustizia, l'odio e l'amore che intercorrono fra le persone, così come fra i popoli. Romanzo molto intenso, dai temi forti, che richiama alla mente lo stile di Philip Roth: la scrittura infatti è dura, spesso caustica, quasi a dimostrare l'inumanità e l'insensatezza della guerra. Ma è anche inframmezzata da punte di ironia e squarci di bellezza struggente che non passano inosservati nel lettore che senz'altro ne percepirà tutta l'importanza.
l'autore riesce a creare una finzione che non pesa sulla realtà. anzi. insomma: un libro bello da leggere che riesce a farti sentire la storia contemporanea, a capirla.
Israele da una parte e i Palestinesi e la loro causa dall’altra. Un arco temporale che va dal 2002 al 2014, personaggi con vite molto diverse ma che poi convergono tutte nel conflitto arabo israeliano. E alla fine una storia d’amore. Da questo autore un nuovo libro molto diverso dai precedenti ma non certo meno apprezzabile. Forse non diventerà il nuovo Philip Roth ma certo è un autore che io considero fra i più interessanti del panorama americano. Israele da una parte e i Palestinesi e la loro causa dall’altra. Un arco temporale che va dal 2002 al 2014, personaggi con vite molto diverse ma che poi si ritrovano tutte nel conflitto arabo israeliano. E alla fine una storia d’amore. Da questo autore un nuovo libro molto diverso dai precedenti ma non certo meno apprezzabile. Forse non diventerà il nuovo Philip Roth ma certo è un nome che io considero fra i più interessanti nel panorama americano.
Recensioni
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La spia e il Generale, Englander fra guerra e pace
Quando starete lì a fare mente locale sulle vostre liste annuali, sui “best of” del 2018, difficilmente non potrete tenere in considerazione, se l’avete letto, l’ultimo libro (il quarto in diciotto anni), cioè il secondo romanzo, dello statunitense Nathan Englander. Pur avendo già scritto volumi magnifici, in particolare le sue raccolte di racconti (come Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank), Englander, classe 1970, non ha ancora ottenuto qualche riconoscimento di grido che, oltre alla stima della critica, gli permettesse di catturare l’attenzione del pubblico in patria e all’estero. Poco male. Il suo Una cena al centro della terra è fra i romanzi più significativi delle ultime stagioni, per lettori che non si accontentano d’insipidi “brodini”. Reso in italiano da Silvia Pareschi, tra le più brillanti traduttrici della sua generazione, e pubblicato da Einaudi, è un romanzo coraggioso da molti punti di vista, oltre che epico, commovente e divertente.
Il coraggio, principalmente, è figlio della volontà dell’autore d’essere ambizioso senza smettere d’essere ironico, di voler meditare e riflettere su uno dei buchi neri della storia contemporanea, la contrapposizione di due popoli in una terra bellissima, senza perdere di vista il senso dell’intrattenimento. Ecco perché il romanzo di Englander è finito addirittura sotto le insegne della spy-story. Potrebbe essere liquidato così, Una cena al centro della terra (con esergo da “Il senso della fine” di Julian Barnes e dedica all’agente letteraria Nicole Aragi), perché non mancano cospirazioni e tradimenti in salsa postmoderna, oltre ai più diversi scenari in giro per il mondo (a un certo punto anche l’isola di Capri) ma a un romanzo del genere, più avanti si va nella lettura, si addicono di più i panni della favola, dell’allegoria. Steven Spielberg potrebbe trarne un gran film, ma nell’attesa di un’eventuale riduzione cinematografica, godersi queste pagine è il meglio che si possa augurare a lettori avvertiti, non intimoriti dagli andirivieni cronologici, da continui cambi di registro e dal mix di generi, e minimamente consapevoli della storia recente del conflitto fra israeliani e palestinesi. Englander, che ha vissuto alcuni anni in Israele alla ricerca delle proprie radici, non fatica a contenere compiutamente tanto di quel materiale narrativo e tanti di quei personaggi, che ad altri scrittori sarebbero scappati di mano.
L’azione si svolge tra il 2002 e il 2014. Z (ci piace pensare che la lettera sia un mezzo omaggio all’omonimo caporale, comparsa di Per Esmé: con amore e squallore) è il protagonista. Spia israeliana che nelle sue tante vite, centrifugate per bene da Englander, gioca a backgammon col suo carceriere del deserto del Negev e scrive, ignaro della sua sorte, al Generale (l’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon, in coma da anni), si innamora di una cameriera ebrea italiana a Parigi (la ritroveremo sotto altre spoglie in un tunnel sotterraneo, a Gaza, a dar senso compiuto e metaforico al titolo del romanzo), controlla un finanziatore dei guerriglieri di Gaza in Germania, cresce negli Stati Uniti, va all’università a Gerusalemme, imbevuto di sogni e ideali di pace per la terra d’Israele, prima di sposare la causa del Mossad e di rinnegarla. Nelle sue tante vite cambia identità, tradisce e fa il doppio gioco. Englander, che ha tenuto conto di qualche spunto minimo di cronaca e politica internazionale, dosa bene il realismo magico, non una melassa incontrollata, e il post-moderno, senza farlo diventare freddo e fine a se stesso.
Dubbioso, forse incapace, forse ingenuo, pieno di rimpianti e scrupoli, Z non è esattamente l’archetipo dell’agente segreto. A suo modo, per spirito di giustizia, cerca di “aggiustare il mondo”, ma è molto difficile giudicarlo in modo univoco. Un po’ come accade con il Generale, in preda a deliri onirici (in cui ripercorre vittorie e sconfitte di una vita), sul cui valore umano e politico (un santo o un assassino, a volere estremizzare il concetto) dibattono Ruthi, la sua infermiera personale, e suo figlio, che ha il compito di sorvegliare Z. Al lettore, dunque, Englander, morale ma non moraleggiante, chiede di dubitare e riflettere, presentando Z e il Generale (i cui destini come minimo sdoppiati sono legati più di quanto si pensi) nei loro panni più lindi e in quelli più luridi, idealisti ma violenti, istituzionali e privatissimi. La lettura di Una cena al centro della terra è una cavalcata fantastica, un piacere e un’opportunità che è meglio non negarsi.
Recensione di Arturo Bollino
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