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libro molto bello. non è il capolavoro di Sciascia ma si legge facilmente. la scrittura è abbastanza scorrevole e trama è molto originale e interessante. consigliato
per la lettura di quest'opera devo ringraziare Andrea Camilleri, che in uno dei suoi Montalbano racconta del protagonista nell'atto di rileggerlo ancora una volta "tanto che era bello". potenza della letteratura, mi ci sono messo e ieri, dopo poco meno di un anno e mezzo, finivo leggerlo per la terza volta. prima di tutto, forse non per importanza ma, diciamo, per obiettività, è splendido in quanto romanzo: in quanto opera d'arte che ci si offre nella forma del romanzo in quanto tale (Pirandello stesso, con le sue straordinarie idee, ha scritto romanzi così così; Ken Follet invece ha - tanto per capirci - all'opposto raccontato con raro talento il nulla più totale nei suoi). E non trascuro l'aspetto romanzesco, perchè è un libro che diverte, che avvince, che stupisce perchè l'orizzonte si sposta di continuo come, crescendo, accade o è accaduto a tutti nella vita (l'abate Vella che, dopo l'inganno del Consiglio di Sicilia, s'inventa il Consiglio d'Egitto; e poi l'illuminismo, la rivoluzione e la repressione, la dolente e magnifica parabola umana di un personaggio immenso nella sua discrezione qual è l'avvocato Di Blasi). Poi: più un'opera è complessa, più è profonda e varia, e qui si toccano vette rare: il coro dei personaggi, degno e forse, per finezza di caratterizzazione, persino superiore al Mastro - don Gesuando; la solita amarissima sconfitta della ragione perchè "il verso delle cose è un altro, violento e disperato"; e la pagina, la pagina scritta, con una delicatezza e un'eleganza proprie, a questi livelli, non mi spaventa dirlo, del solo Sciascia. leggetelo, questo romanzo; leggetelo, provateci, investiteci tempo e denaro non con l'atteggiamento di chi si aspetta di ricevere subito ma come chi è pronto a dare, appunto, attenzione e pazienza. dopo, solo dopo, sarete ripagati. Mille volte.
Caro, solo ora leggo le tue parole sul "Consiglio d'Egitto". Beh, che dire, sono d'accordo con quello che dici sul libro e sul suo autore. Ma, tant'è, a 'sto punto ti dico perché a me piace tanto (il libro, intendo, ma ora che ci penso anche lui, l'autore). Per farla breve, credo che il Consiglio d'Egitto sia un'allegoria assolutamente profetica (e come può dirsi allegorico ciò che non ha la presunzione di essere innanzi tutto profetico?) della condizione umana, tale intendendo quella dell'uomo nella società occidentale a partire dai greci, ora come allora. E' l'allegoria, almeno credo, sta proprio in ciò, che delle cose umane difficilmente può darsi un'interpretazione univoca ovvero non controvertibile. E ciò è tanto più vero quanto più ci si sposta dagli "enti", dalle cose, al linguaggio con cui noi li indichiamo (o, se vuoi, da una comunissima "vita del profeta" ad un interessante "Consiglio di Sicilia"). Il tema sarebbe certo meglio trattato da un filosofo del linguaggio, ma a me, e credo anche a Sciascia, non occorre sapere altro per sancire definitivamente la rinuncia a qualsiasi possibilità di migliorare le cose (questo, per un illuminista come lui, credo fosse una privazione tra le peggiori). Eh sì perché se siamo d'accordo sul fatto che non c'è giustizia senza verità, allora la rinuncia alla seconda non può che sancire la sconfitta della prima. Mi accorgo di essere oscuro, mi sembra di avere omesso un passaggio fondamentale (ai fini del mio pensiero, s'intende): la scrittura, come e più di ogni altro strumento di comunicazione (oggi li chiamano mass-media) ovvero di rappresentazione, inquina ciò che riproduce o rappresenta per il solo fatto di riprodurlo o rappresentarlo, al punto da fare nascere il dubbio se ciò che ESISTE, ciò che è VERO, ciò che E', è lì prima, o invece il frutto del processo di rappresentazione. Ora non credo di essere più chiaro, e me ne dispiace, e dire che su 'ste cose ci rifletto da anni! Ma continuo, non si sa mai riesca ad essere chiaro. Dove eravamo arrivati? Ah!, sì
Recensioni
Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco, si trova a Palermo nel dicembre 1782, per via di una tempesta che ha fatto naufragare la sua nave sulle coste siciliane. è questo il caso che fa nascere, nella mente dell'abate Vella, maltese, e incaricato di mostrare all'ambasciatore le bellezze di Palermo, un disegno audacissimo: far passare il manoscritto arabo di una qualsiasi vita del profeta, conservato nell'isola, per uno sconvolgente testo politico, Il Consiglio d'Egitto, che permetterebbe l'abolizione di tutti i privilegi feudali e potrebbe perciò valere da scintilla per un complotto rivoluzionario. Così «dall'ansia di perdere certe gioie appena gustate, dall'innata avarizia, dall'oscuro disprezzo per i propri simili, prontamente cogliendo l'occasione che la sorte gli offriva, con grave ma lucido azzardo, Giuseppe Vella si fece protagonista della grande impostura». Pubblicato per la prima volta nel 1963, Il Consiglio d'Egitto è in certo modo l'archetipo, e il più celebrato, fra i romanzi-apologhi di Sciascia, dove lo sfondo storico della vicenda si anima fino a diventare una scena allegorica, che in questo caso accenna alla storia tutta della Sicilia.
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