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Con o senza l'antologia finale, è palese che la democrazia non è mai neppure giunta allo stadio d'idealtipo weberiano. Nessuno è ancora riuscito a fornirne una definizione precisa e condivisa: certo, la tutela dei diritti civili e politici delle minoranze affinché la dittatura delle regole democratiche prevalesse sulla dittatura della maggioranza. Poi s'è constatato che ciò era necessario ma insufficiente: c'er'anche bisogno d'un'equa redistribuzione del potere, economico e non, altrimenti la possibilità per le minoranze d'alternarsi al governo diventa una chimera. E il vituperato "voto di scambio" non è un male in sé: ci mancherebbe ch'il sistema democatico si debba fondare sul masochismo. Casomai lo scambio dovrebb'essere per un tornaconto non solo personale, da "res privata", bensì da "res publica", m'anch'in questo caso non s'è arrivati ad alcuna formulazion'unanime. Mentre si continuano a provare ricette destrorse o sinistrorse e si disquisisce sull'agorà telematica, la democrazia diretta, la consultazione referendaria perpetua, intanto la forchetta della disuguaglianza planetaria fra le oligoplutocrazie in cyberwarfare e il resto dell'umanità ha toccato il suo massimo storico. Esito della globalizzazione online. Dunque postdemocrazia: quando mai? Non s'è nemmeno superat'il livello della predemocrazia, quest'etern'incompiuta.
Nel breve ed istruttivo saggio, G. Zagrebelky spiega il collasso delle nostre società attraverso il racconto di come si autodistrusse la comunità dell'Isola di Pasqua. Le varie tribù esaurirono per stoltezza le risorse del territorio ed infine si decimarono a vicenda con guerre e carestie. Al presente, si scopre che società in cui il denaro da mezzo sia diventato il fine del loro operare appaiano destinate a divorarsi tra loro. Zagrebelsky ragiona che in passato uno Stato non avrebbe mai potuto fallire perché regolato da meccanismi interni atti a preservare l'equilibrio dei suoi conti. Ora gli Stati sono diventati società commerciali gravate da un pesante debito pubblico e consegnate ad una Finanza vorace. Privati di sovranità anche monetaria e servi della Finanza, gli Stati sono costretti ad attuare "riforme" imposte dal capestro del pareggio di bilancio che si traducono in aumento della pressione fiscale e gravi tagli allo stato sociale. Il potere finanziario procede ad assoggettare una classe politica debole per mediocrità, abbattendo la dialettica democratica tra partiti al fine di creare maggioranze allargate in cui annullare le contrapposizioni ideologiche ed imporre il solo imperio della Finanza. In questo disegno le Costituzioni sono svuotate perché principi e fini sono di fatto ignorati e i Parlamenti ridotti a certificatori delle volontà di premier autoritari abili nel fiaccare le resistenze delle forze sociali e tenere a bada le masse con insignificanti regalie al posto dei diritti sottratti. Una democrazia senza cardini di uguaglianza e legalità si snatura in sistemi di potere gerarchici basati sul privilegio. Nel potere oligarchico è insita, però, la contraddizione che genera il conflitto tra privilegiati ed esclusi in cui irrompe la forza vigorosa della democrazia capace di scuotere i privilegi e ricomporre l'unità del popolo sotto la legge comune. Pur tra limiti e contraddizioni, per Zagrebelsky la democrazia si conferma miglior giro di giostra.
La democrazia è in pericolo, siamo nelle mani di un'oligarchia: non è una grande scoperta. Da Zagrebelsky mi sarei aspettato un'analisi molto più approfondita, non questa sorta di instant book in cui su 130 pagine quelle scritte effettivamente dall'autore sono 50 e il resto sono interviste ad altri (molto più pregnanti, tra l'altro) tratte da riviste del gruppo Repubblica. Un'operazione editoriale, più che culturale. Chi è veramente interessato a questi temi fa molto meglio a leggersi Luciano Gallino.
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