"Donka Berati era in parte felice dei successi di Alfredo Cannella. In altra parte no". Si può rendere in un'unica frase la complessità di un libro corposo, denso (quattro personaggi principali che si incrociano in un arco di tempo di circa dieci anni), ambizioso (economia, storia, finanza e sociologia a sostenersi e a combattersi dalla prima all'ultima pagina)? No. Ma ci si può andare vicino: Donka Berati è un giovane e brillante albanese in corsa per un dottorato in storia economica alla Bocconi. Alfredo Cannella, suo coinquilino e padrone di casa, anche. I due sono amici, complici, si vogliono bene in modo cameratesco e discreto. Nemmeno la notizia che Donka ce l'ha fatta, il dottorato è suo, riesce a scalfire il loro rapporto. Apparentemente rassegnato, infatti, Alfredo accetta la proposta del padre e va a lavorare nella sua azienda edile. Tutto sembra obbedire alle leggi che regolano il mondo, con un pizzico di giustizia in più: l'immigrato orfano, meritevole, Donka, ottiene il lavoro per cui ha lottato, il viziato figlio di papà fallisce, ma viene tratto in salvo dalla salda mano familiare che guida, protegge e detta il passo. Ebbene, è un lieto inizio ingannevole questo, perché Alfredo Cannella non è solo il ragazzino supponente che ha aspirato ad Harvard senza esservi ammesso (mentre Donka c'è stato, anche se per poco); Alfredo Cannella è un falco e non si accontenterà di sbrigare il lavoro che papà gli fa arrivare sulla scrivania. In breve speculazioni edilizie, corruzione, utilizzo spregiudicato dei media gli permetteranno di mettersi in proprio, di piombare sul mercato immobiliare con gli artigli pronti ad agguantare quanto serve a scalare la vetta e diventare qualcuno. Così mentre all'università Donka studia, insegna, scrive articoli che giornali e riviste pubblicano a firma del suo professore, Alfredo scommette, vince, sbaglia, perde tutto e poi scommette di nuovo, in America, abbandonando lungo la strada scrupoli e rimpianti. Si crede ancora una colomba ma si è falchizzato del tutto: il dottorato è un lontano ricordo. Il filo che unisce i due amici si assottiglia, diventa invisibile. Eppure Donka è felice dei successi di Alfredo. O almeno crede, finché non lo vede con Drina al funerale del professore. Lei è il motivo per cui anni prima è stato espulso da Harvard; lei che è sexy, intelligente, affermata nel suo lavoro di terapista di uomini di successo, diventa il simbolo di qualcosa a cui si può rimediare, la possibilità di una svolta, di un cambiamento. Così un po' alla volta la colomba pacifica e laboriosa si attiva, alleandosi con un'altra colomba, un compatriota che ha scommesso e perso in Albania e adesso a Milano vende kebab. E non si tratta certo di mettere in piedi un'attività pacifica e laboriosa. Si parte dai fratelli immigrati che devono mandare ogni mese i loro guadagni al paese: Donka ed Eltjion prestano soldi, li anticipano, li inviano all'estero, li rubano. Speculano come gli uomini che sono atterrati in Albania come dischi volanti nel 1991 e ne sono ripartiti nel 1996 lasciando dietro di sé macerie e padri di famiglia ridotti in miseria. Speculano come gli uomini che li hanno rovinati. Sono peggio dei falchi, quindi, queste colombe che si alleano, anche perché a quanto sembra, sulla lunga distanza, l'avranno sempre vinta. Raccontata così questa storia sembra una parabola negativa in cui nemmeno la dicotomia falchi/colombe funziona più come riferimento. Invece è molto altro. Vincenzo Latronico è riuscito a costruire un mondo in cui ogni principio etico ha perso il suo significato assoluto per acquistarne uno relativo, contingente alle circostanze del momento. Un mondo in cui il male che ci hanno fatto può essere il male che domani faremo. Merito di un'intelligenza capace di raccontare finanza e sociologia attraverso le pieghe di una storia dolorosa in cui successo e fallimento si susseguono impietosamente, in cui i personaggi sembrano prigionieri delle proprie ambizioni e dei propri desideri inesauditi. Merito di una scrittura seducente che addolcisce i meccanismi finanziari più aridi e li rende intriganti, che ci interessa alla sorte di un egocentrico antipatico come Alfredo Cannella, che ci commuove quando concede qualche riga alla fragilità dei rapporti umani, al modo in cui le persone si cercano, si tessono una tela intorno che può durare anni ma che va maneggiata con cura per non farla spezzare. La cospirazione delle colombe non è quindi solo una bella storia di tradimenti e rivincite personali, è un libro che si legge gustando di pagina in pagina il sapore del successo, scoprendo che il piacere di affermarsi e prevalere aumenta con la lettura, si associa a Donka, ad Alfredo, poi di nuovo a Donka; che ci fa sentire cattivi e appagati finché non arriviamo alla fine del romanzo e ci sembra di capire che chi ha vinto ha lo stesso sapore amaro in bocca che sentiamo noi da quando abbiamo chiuso il libro. Giusi Marchetta
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