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Loris Marcucci, ricercatore di formazione, e storico dell'Unione Sovietica, si occupa ora - così vanno talvolta le cose nella vita - di import-export con la Russia. Questo suo libro è così il risultato di una doppia esperienza: quella dell'uomo di affari che, nella capitale russa, può frequentare il mondo, del tutto nuovo, dei manager, e quella del serio studioso che, seppur consapevole di come il tempo degli storici non sia ancora venuto, pensa però che "il desiderio di capire e di interrogare il presente" non possa "essere delegato ai decenni futuri". Marcucci non ci dà conto delle sue nuove giornate moscovite. Esse sono però presenti laddove ci descrive come col "crollo" si sia aperta la fase dell'"esplosione della disuguaglianza sociale ed economica", ivi comprese la tragedia dei "nuovi poveri" e la nascita, attraverso privatizzazioni condotte senza regole da un ceto dirigente del tutto impreparato, di coloro che sono stati chiamati i "nuovi russi".
A individuare quanto pesi il retaggio del passato interviene proprio lo storico. Anche mettendo in guardia contro i rischi di cadere nelle facili semplificazioni e prendendo posizione contro visioni "ideologiche" vecchie e nuove: quelle, soprattutto, di chi continua a parlare della Russia come di un paese "ridotto a terra di conquista di gruppi clientelari e associazioni mafiose", e quelle, di segno opposto, che mirano a non lasciar trasparire, o a occultare, i drammi e gli sconquassi che hanno accompagnato la crisi e la caduta dell'impero.
L'asse del libro è costruito su un'originale interpretazione della perestrojka, presentata non già come un corso politico interno alla storia dell'Unione Sovietica, nato per affrontare la crisi, e conclusosi con la sconfitta, ma come l'inizio di una fase di trasformazione ancora in corso. Gorbacëv ed El'cin - i due presidenti rivali - vengono così collocati l'uno accanto all'altro sotto il segno di un unico processo storico. E guardando al dispiegarsi della vicenda con una simile ottica, decisamente "continuistica", alcuni aspetti della vicenda vengono fruttuosamente illuminati. Si veda l'attenzione prestata dall'autore da una parte al ruolo giocato dalla vecchia nomenklatura, e dall'altra alla formazione, insieme a un ceto di "nuovi ricchi" da Guinness dei primati, di una vasta "classe media".
Altri aspetti vengono invece un poco sacrificati. Il ruolo avuto, ad esempio, dal processo di disgregazione dell'impero per l'insorgere di tante, e tanto forti, spinte nazionali antirusse (e anti potere centrale in molte aree a popolazione russa) è certo meritevole di una sottolineatura più forte. È tuttavia indubbio che, come Marcucci mette in rilievo, sia Gorbacëv che El'cin hanno navigato alla cieca in un paese sconvolto da una crisi di immani proporzioni. Altra è oggi la Russia, divenuta con Putin e la sua scelta filoccidentale una protagonista della scena mondiale. Tuttavia - avverte Marcucci - il problema dell'identità della Russia, sempre oscillante fra la vocazione imperiale-autoritaria e la spinta - questo è un fatto nuovo - verso la costruzione di uno stato democratico, nonché tra l'orizzonte europeo e quello asiatico, è tutt'altro che risolto. Non il solo destino della Russia e dei russi, ma quello di tutti, è del resto collegato alla risposta che al problema dell'identità potrà essere data.
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