Un titolo che condensa la natura quasi concettuale di quest’album, da un lato un omaggio a Sun Ra, uno dei personaggi più profondi e rivoluzionari nella storia della musica, capace di dare nuovo significato alla parola cosmic: un messaggero venuto dallo spazio per portare nuova spiritualità e visione. Dall’altro, la parola hipster – ai nostri giorni sinonimo di nulla e superficialità, ma che ha origini socio-politiche ed estetiche profonde: Jack Kerouac per esempio li descrisse come ‘anime erranti portatrici di una speciale spiritualitaÌ’. Gli hipsters erano originariamente innovatori, esploratori culturali spinti dal desiderio di novità e sperimentazione. E tutto ciò trova posto in Do Hipsters Love Sun (Ra)?: una colonna sonora che condensa elementi cosmici, il desiderio di esplorare e scoprire, e la capacita di immaginare e sognare. Esistenzialismo, sperimentazione, spiritualità: ecco allora la dedica a Sun Ra, influenza più concettuale che musicale di questo disco. Abstract jazz, cosmic funk, instrumental hip-hop: Do Hipsters Love Sun (Ra)? contiene tutti i tratti e le influenze tipiche del sound dei The Dining Rooms, ma anche un forte elemento cinematico che affonda le sue radici nel mondo delle sonorizzazioni e delle colonne sonore del cinema Italiano. La reinterpretazione di quelle atmosfere e l’altro tema del disco, una vena sotterranea capace di infondere nelle tracce dell’album l’incanto di quelle colonne sonore leggendarie. In quest’ottica si inseriscono le collaborazioni: Jessica Lauren, space woman per eccellenza, e la nouvelle vague del suono italiano collegato a quell’attitudine cinematica, i Sacri Cuori di Antonio Gramentieri e Francesco Giampaoli, e Bruno Dorella, chitarrista dei Ronin (e non solo). Ecco quindi un album (quasi) concettuale: sulla solarità, sull’ironia, sul significato dell’esistenza riferita al movimento e soprattutto al nostro fluttuare nello spazio. Una colonna sonora senza immagini, tra pianeti reali ed immaginari, che incontra Sergio Leone su un asteroide e dandoci appuntamento su Marte sfiora hipsters e beatniks sulla luna del diavolo - perché, come disse appunto Herman Poole Blount, “Space is the place”.
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