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Anno edizione: 2015
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Antonio Manzini disegna un personaggio straordinario. - Andrea Camilleri
Manzini è riuscito a fare del vicequestore Schiavone un personaggio di cui non possiamo fare a meno. - Antonio D’Orrico
Quando nasce così, spontaneamente, un fenomeno editoriale come Antonio Manzini, cioè un autore che nel giro di pochi anni ha conquistato i lettori, c’è da chiedersi cosa abbia di tanto speciale la sua scrittura. Il fatto che sia stato allievo di Andrea Camilleri all’Accademia d’arte drammatica, ci dà un buon indizio: Manzini nasce come attore e sceneggiatore, ma è la serie con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone a farlo entrare nell’empireo. Lunga serialità, trama poliziesca, personaggi complessi e umani, critica sociale, un amore perduto e molti, moltissimi errori di gioventù. L’editore Sellerio, pubblicando praticamente tutti i gialli procedurali più importanti, ha scritto le regole del genere. Antonio Manzini le ha seguite ma aggiungendo qualcosa in più: una naturale simpatia che ci fa patire insieme al suo burbero Rocco.
Era di maggio non è semplicemente un episodio della serie, ma è il seguito della vicenda già raccontata nel romanzo precedente Non è stagione. Il vicequestore, spedito da Roma ad Aosta forse per punizione, a causa di un grosso errore, è ancora alle prese con alcune questioni irrisolte. Dopo aver sventato il rapimento della giovane Chiara Berguet, figlia di un noto costruttore, e arrestato un esponente di spicco della 'ndrangheta calabrese che aveva tentato di infiltrarsi nel tessuto imprenditoriale di Aosta, Schiavone aveva avuto due amare sorprese: lo 'ndranghetista Mimmo Cuntrera era stato ammazzato nel carcere di Varallo pochi giorni dopo l’arresto. Ancora più grave, qualcuno era entrato nel suo appartamento e, credendolo addormentato nel suo letto, aveva scaricato la pistola su Adele, una delle sue più care amiche, uccidendola al posto suo.
La tentazione di mollare tutto, sparire e non farsi più trovare pur di evitare il rimorso di una nuova assurda morte che pesa sulla sua coscienza è forte, ma questa volta Rocco Schiavone non può scappare. Deve tornare a Roma, rimettere piede a casa sua, dove non entra da quasi un anno, parlare con la gente, rivedere quelli – tanti – che avrebbero voluto la sua morte, affrontare i suoi fantasmi. Poi deve anche trovare il modo di infiltrarsi nel carcere di Varallo, riprendere le fila di un’indagine che sembrava chiusa ma che presenta ancora troppe incongruenze.
Era di maggio segna la rinascita, la presa di coscienza, il colpo di reni del vicequestore, che dovrà tirare fuori tutto il suo ruvido carattere e reagire, finalmente. La notte quando sogna Marina e raccoglie gli indizi che la donna, dall’altro mondo, gli lascia, lo assale una tristezza assurda e straziante. La canzone che canta, negli ultimi giorni di un maggio che non vuole passare, questa volta è quella di De Andrè Ninetta mia crepare di maggio, ci vuole tanto troppo coraggio. Ninetta bella dritto all’inferno avrei preferito andarci in inverno…. È l’inferno che sta cercando, il vicequestore, nel lungo inverno di Aosta? E davvero possiamo illuderci che anche lì non possa penetrare un po’ di sole?
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