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Una realtà surreale, che mi ha costretta a cercare altro sull’argomento. Incredula e sconvolta perché gli interessi privati travolgono inesorabilmente la vita degli altri. Da leggere
Un libro che"denuncia" raccontando il lavoro in una fabbrica in cui si e' a contatto con l'amianto. La vita difficile di un operaio che non può scegliere altro pur di avere uno stipendio ma che purtroppo si ammalerà come tutti i colleghi. Un processo che non renderà giustizia ai morti . Fatti che purtroppo realmente accadono
La fabbrica del panico, romanzo d'esordio di Stefano Valenti, è narrato in prima persona dal figlio di un operaio, il cui grande sogno era di diventare un famoso pittore. Ma, ovviamente, la vita impone altre esigenze primarie, che, spesso, contribuiscono a lasciare da parte i sogni. Ed è così che questo aspirante pittore deve lasciare il suo paesino di montagna per giungere a Milano e trovare un'occupazione in fabbrica, che gli permetta di mantenere se stesso e la propria famiglia. Ma la fabbrica si rivela una sorta di prigione, in cui i ritmi serrati di lavoro e la disposizione delle macchine non permettono di stringere relazioni umane con i colleghi. L'operaio è solo, pur essendo in mezzo a tanti, ed è soggetto a crisi di ansia, generate dal lavoro monotonamente ripetitivo. E, infine, se ciò non bastasse, le protezioni per la salute degli operai sono inesistenti e le polveri d'amianto creano nuvoloni grigi, che contaminano l'aria e distruggono i polmoni, sia negli anni Settanta, quando ancora il problema era sconosciuto, sia negli anni successivi, quando i rischi di un contatto diretto con questo materiale sono stati nascosti colpevolmente e consapevolmente dai manager. Ma intanto gli operai cominciano ad ammalarsi e a morire uno dietro l'altro e i movimenti operai a reclamare i propri diritti. È questo un romanzo che narra una storia, ma nello stesso tempo informa e coinvolge il lettore, trasmettendogli con semplici e azzeccate parole un senso di claustrofobia e di panico, proprio come recita il titolo, nonché la giusta rabbia per poter affrontare una lettura intensa, ma impegnativa emotivamente.
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