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La fabbrica della memoria. Dalle molecole alla mente - Steven Rose - copertina
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Descrizione


Biologo, direttore del Brain and Behaviour Group della Open University britannica, studioso dei meccanismi cellulari dell'apprendimento, sul tema della memoria Rose offre un'indagine articolata su più piani. Dopo aver ripercorso l'evoluzione della conoscenza dei meccanismi della memoria dall'antichità ai nostri giorni, mostra lo scienziato di oggi alle prese con i problemi della vita di laboratorio e con i condizionamenti della ricerca scientifica. Per arrivare infine al dibattito attuale, con un occhio attento alle teorie sull'intelligenza artificiale.
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Dettagli

1994
1 gennaio 1994
430 p., ill.
9788811594505

Voce della critica


recensione di Oliverio, A., L'Indice 1995, n. 1

Da lungo tempo, ormai qualche decennio, Steven Rose si dedica allo studio delle basi neurochimiche della memoria: come tutti i ricercatori Rose, che lavora in Inghilterra nell'ambito della Open University, mette alla prova una teoria della memoria, per non dire una teoria della mente, facendo capo a un suo modello "preferito", lo studio dell'imprinting nel pulcino. Si tratta di un modello sperimentale volutamente riduzionistico e volutamente semplificato rispetto alla complessità della memoria, ai suoi sottili intrecci con l'oblio, al suo significato in termini di esperienze individuali in grado di dare un senso alla nostra vita: eppure non vi sono molte alternative per il biologo che voglia comprendere come le esperienze lascino delle tracce, solchi più o meno duraturi, nelle trame del sistema nervoso. Il biologo, come Rose appunto, è però combattuto tra due opposte visioni del mondo: da un lato si rende conto della necessità di affrontare il problema della memoria in termini di massima semplificazione per poterlo aggredire con lo strumentario di cui dispone, dall'altro egli sa che la memoria è qualcosa di diverso rispetto al puro meccanismo neurobiologico implicato nella registrazione delle esperienze, ma può solo iniziare dallo studio dei meccanismi, dalla ricerca di leggi universali che valgano dal pulcino all'uomo.
È appunto dallo studio dei pulcini che Steven Rose è partito, concentrandosi insieme a P.P.G. Bateson e a G. Horn su una fase particolare del loro sviluppo postnatale, l'imprinting appunto. Questa forma di comportamento descritta da Konrad Lorenz si manifesta in quanto l'animale, durante un periodo critico del suo sviluppo, viene a contatto con particolari stimoli e va quindi incontro a un'esperienza o apprendimento. Lorenz dimostrò come per il manifestarsi dell'imprinting fosse necessario un breve periodo di associazione tra gli anatroccoli e una figura in movimento in un periodo limitato (generalmente poche ore) della vita dell'animale (periodo critico). La figura in movimento su cui i piccoli si "imprintano" è generalmente la madre negli ambienti naturali ma può anche essere un uomo, come nel caso descritto da Lorenz ne "L'anello di re Salomone". Anche i richiami ritmici e diversi oggetti in movimento scatenano nei piccoli appartenenti a diverse specie di anatre la reazione del seguire: poco dopo la schiusa dell'uovo l'anatroccolo segue il primo oggetto in movimento, e dopo averlo seguito vi rimane imprintato, cioè attaccato emotivamente.
L'imprinting e altri modelli di esperienza precoce sono stati utilizzati dai ricercatori come un prototipo per lo studio dei correlati biologici della memoria: essi infatti comportano un tipo di esperienza di notevole rilievo, tale da influenzare per tutta la vita il comportamento dell'animale, orientandolo anche in termini di scelte sessuali. Si tratta quindi di un comportamento che si basa su un particolare tipo di plasticità cerebrale e su una massiccia memorizzazione dell'esperienza critica. Utilizzando questo modello sperimentale Rose e i suoi colleghi hanno notato che nel corso dell'imprinting si verificano profonde alterazioni della biochimica cerebrale, in particolare un aumento dell'RNA, l'acido ribonucleico che è implicato nella sintesi di proteine. Indagini successive effettuate da altri gruppi di ricercatoti hanno dimostrato che l'accresciuta sintesi di RNA è responsabile della sintesi delle proteine che sono necessarie per formare nuove sinapsi, punti di contatto tra neurone e neurone che consentono di stabilire una rete nervosa utile per codificare l'informazione in un ben definito circuito. Le ricerche sull'imprinting e su altri tipi di memorie e apprendimenti indicano che le teorie proposte intorno alla fine degli anni quaranta dallo psicologo canadese Donald Hebb erano corrette: "registrare" dei ricordi significa formare memorie "a breve termine" su base bioelettrica e consolidarle in memorie "a lungo termine" attraverso la formazione di sinapsi che uniscono tra di loro numerosi neuroni. A questa conclusione si è anche giunti considerando quanto si verifica in diverse specie animali, dalle lumache ai primati: in quei neuroni che vengono sollecitati da stimoli ripetitivi si verificano delle modifiche che vengono considerate come la base organica della memoria.
Steven Rose espone questi e altri risultati della biologia della memoria ma al tempo stesso si interroga sul loro limite o su ciò che "viene dopo" le modifiche della funzione o della struttura neuronale: infatti egli ben sa che memorizzare non significa "fotografare" la realtà, riprodurre le caratteristiche delle nostre esperienze attraverso un meccanismo che cominciamo a svelare, anche se ignoriamo la struttura del codice attraverso cui le esperienze vengono iscritte e lette nel successivo processo di rievocazione. Memorizzare, far riemergere i ricordi, sfrondarli di particolari irrilevanti, classificarli per categorie, sottrarli o affidarli alla forza dell'oblio, sono infatti attività che implicano processi mentali ben più complessi di quanto non appaia dalla descrizione del gioco di ioni, molecole e sinapsi che sono alla base dei modelli di memoria biologica analizzati dagli psicobiologi.
Rose, come ogni studioso critico, si rende ben conto della selva di problemi che circonda ciò che i suoi studi hanno contribuito a rivelare e i suoi dubbi prendono corpo sia attraverso ipotesi e teorie sulla memoria e la mente, sia attraverso la cosiddetta reminiscenza, la rievocazione delle memorie della sua vita, allacciate tra di loto attraverso un filo rosso che unisce i ricordi personali e quelli interni alla sua attività di ricercatore alla comunità degli scienziati che elaborano teorie della mente. Questo sottile intreccio tra memorie individuali e riflessioni sulla memoria costituisce un gioco di specchi che attrae non soltanto chi, come me, lavora sulla memoria ma anche chi, come il lettore comune, vuole riflettere su questa facoltà mentale, su ciò che per noi implica il ricordare. Quello di Rose non è quindi soltanto un saggio di rigorosa divulgazione ma anche una riflessione sui modelli della scienza e sul pensiero degli scienziati. D'altronde le pagine di Rose, anche se in una dimensione e uno stile diversi, mi ricordano un racconto di Luigi Pirandello, "Pallottoline", dove lo scienziato, di professione astronomo, si confronta con la grandiosa realtà empirica che osserva, gli astri appunto, e prova un senso di smarrimento di fronte alla propria piccolezza, minima rotella di una macchina grandiosa: così Rose si rende conto, anche se con maggior ottimismo e fiducia nella scienza del protagonista di "Pallottoline", che al di là delle sinapsi in cui sono iscritte le memorie di un pulcino o di un uomo esiste una realtà ben più vasta.
In linea con questo atteggiamento "La fabbrica della memoria" va al di là di un approccio riduzionistico alla memoria e sconfina nel più vasto problema delle teorie della mente in cui la memoria è, da sempre, un luogo simbolico. Rose sostiene in questo saggio una tesi non improntata a un riduzionismo totalizzante, secondo cui, anche nel caso in cui gli studiosi della biologia cerebrale conoscessero il cervello in ogni suo dettaglio, dovrebbero sempre utilizzare delle spiegazioni di tipo psicologico per comprendere i fenomeni della psiche. La psicologia, infatti, non può essere ridotta a fisiologia se con ciò si intende che una dettagliata conoscenza di tipo fisiologico significherebbe la fine di concetti quali scopi, idee, convinzioni, intenzioni; la psicologia risulta invece riducibile quando ci limitiamo a intendere che i ricordi, le emozioni, le intenzioni, gli scopi e altre entità di tipo psicologico fanno capo a realtà cerebrali, anziché essere categorie inesplicabili in termini scientifici. Ma l'adesione a quest'ultimo principio non implica necessariamente che un'eventuale conoscenza dei modi attraverso cui le memorie e altre categorie mentali sono incorporate nei meccanismi cerebrali possa esimerci in futuro da quei concetti attraverso cui esprimiamo ciò che è specificamente umano rispetto agli esseri umani...

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