In tempi di scrittori senza stile, di autori di pura trama, di "scrittori patacca" come direbbe Céline, è una boccata d'aria leggere la complessa e limpida prosa di Marosia Castaldi, che da sempre è una delle autrici più sperimentali e di maggior peso nella letteratura italiana d'oggi, ma che con questo La fame delle donne (edito dalla coraggiosa Agnese Manni) ha sortito forse uno dei suoi libri migliori, più ispirati, più studiati e al tempo stesso più travolgenti. La fame delle donne è una musica ininterrotta, composta e punteggiata da leitmotiv: l'appello al Lettore ("La solitudine mangia l'anima Lettore "), il mare che segna il contrappunto ritmico nelle frasi, che studiano una speciale assenza/presenza di punteggiatura, di maiuscole e minuscole capaci di avanzare come respiri, lo stile già noto ai lettori di Castaldi: "E tornano i millenni e i secoli passati i morti sepolti e rianimati e donne nere tese accorticate Tessono stoffa al mare Aspettano strappano cuciono sommano ristrappano graffiano increspano Danno materia al mare Mare scritto disegnato corporale Ne fanno il corpo chiuso aperto del mare millenario sbarrato di colonne di velieri di fari Mare di guerra mare di carta terra mare di carta carne Mare egiziano siculo africano mare italiano si spagna di francia di grecia e d'albania mare romano mare inchiostrato manufatto articolato mare affaticato mai stanco di partire mediterraneo". Una musica composta di natura e divinità: "I seni delle donne Lettore sono porti di brame e golfi di certezza e bellezza per le navi che vengono da lontano portando il loro clandestino a bordo come un'ombra che naviga dentro il caos in cui le creature si creaturano la materia si materia la natura si natura e Dio si india". Cos'è questo libro? Un'immensa enciclopedia del corpo, dei suoi bisogni, specie del cibo ma anche del sesso. Libro indispensabile, crudele, bellissimo, travolto da sapori e amori saffici, libro di memorie sensoriali e di casalinghitudine: ecco la parola che torna, inevitabile citazione dell'indimenticato, omonimo libro di Clara Sereni, composto, per l'appunto, di ricette e memorie familiari. E Sereni, ma anche Ramondino e Woolf, fra i molti numi tutelari che presiedono la prosa poetica di Castaldi, fanno costellazione intorno a una storia minima che ha per attrici solo donne: Rosa, la protagonista, Tina, una vicina di casa, Caterina, Edda e la figlia di Rosa. Per tutto il romanzo, o opera poetica in versi, mèlos antico, siamo in un ristorante della bassa Padania dove si cucina di tutto, ma soprattutto il cibo caldo del Sud. Riappaiono i fantasmi che accompagnano da sempre la scrittura di Castaldi, da Il dio dei corpi (Sironi, 2006) a Dava fine alla tremenda notte (Feltrinelli, 2004) a Dentro le mie mani le tue (Feltrinelli, 2007), per citare solo alcuni suoi titoli: la solitudine, l'amore strappato o assente, il corpo delle donne, la scrittura. Ed è alla scrittura come arte che sono dedicate due pagine fra le più incalzanti: "E tu Lettore hai dei figli e tieni un diario? Tienilo sopra il comodino tienilo dentro il tuo letto Portalo con te dentro la tua strada dentro la tua casa L'ho cominciato a quindici anni Ci scrivevo le mie poesie adesso giace abbandonato tra le scartoffie polverose Mi sembra banale scriverci sempre le stesse cose Fai male Lettore il diario conserva i residui di tutto quello che abbiamo fatto che abbiamo detto che abbiamo sognato Quello che abbiamo desiderato che abbiamo avuto che abbiamo scambiato Quello che ci siamo lasciati alle spalle Quello che mi hai detto quello che ti ho detto che ti ho fatto che mi hai fatto Quello che abbiamo percorso quello che abbiamo visto quelle lingue che abbiamo conosciuto quelle persone che ci hanno amato". Lunghe elencazioni, infinite catene di anafore che, insieme alle ricette che Rosa realizza al ristorante, sono l'anima del libro. Poiché, sembra dire Castaldi, quel che conta è, sì, quanto ci diciamo e quanto ricordiamo, ma soprattutto la forma che diamo alle cose inevitabile, per lei che è fabbricatrice di parola come di opera visiva e "la luce assoluta delle cose che esistono anche senza essere guardate". In un certo senso, La fame delle donne andrebbe letto come un romanzo filosofico e come una completa riflessione sullo stato dell'arte dell'essere umano oltre che dell'arte in sé, non solo evidente rappresentazione del dolore femminile in tempi di anoressia, bulimia, sovraesposizione dei corpi e revanchismo misogino, ma catalogo flaubertiano, alla Bouvard e Pécuchet, dello scibile materiale della nostra vita. Cosa resta di noi? E cosa siamo? Quella materia in cui Dio si india, per usare le parole dell'autrice. E cos'è un'opera letteraria? Eccola: una materia la cui forma non è riducibile a riassunti, lanci pubblicitari e volgarizzazioni: ci vogliono energia e coraggio per entrare nelle pagine di Marosia Castaldi e la voglia di farsi, traversati dolore e piacere, cambiare dalle domande che la parola solleva: "Le catene stringono alla gola soffocano Sono il nome della morte Lettore ". Antonella Cilento
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