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recensione di Di Carlo, A., L'Indice 1992, n. 8
Questo volume è organizzato come una sorta di lungo diario, con i saggi disposti cronologicamente, accompagnati da note autobiografiche, brevi introduzioni, lettere, un diario che racconta un itinerario di ricerca segnato alle origini da un problema il rapporto della mente consapevole e organizzata con l'indeterminatezza e il vuoto, il non sapere, il dubbio, il conflitto, quel "caos temporaneo" da cui tuttavia la mente può emergere in forme più compiute.
La Milner si muove in altri termini su un terreno che possiamo considerare di antica tradizione per il pensiero psicoanalitico: quello dell'analisi dei poteri creativi della mente e dei rapporti che questa intrattiene con ciò che è profondo, prelogico, un terreno su cui per la Milner si incontrano la terapia, l'esperienza estetica, l'esperienza mistica.Ciascuna di queste tre esperienze va distinta e tuttavia è come se l'autrice ne cercasse il luogo di confluenza o di intersezione. Probabilmente il luogo di intersezione è nel concetto di "esperienza creativa". Esperienza difficile da definire, certamente un modo di guardare e vedere il mondo, talora un modo di respirare, di sentire il proprio corpo... In ogni caso nel linguaggio della Milner una esperienza di rinascita, una scoperta improuvisa dei significati delle cose così che il mondo può improvvisamente apparire nuovo, appena creato.
Ma perché questo vissuto creativo si manifesti occorre avere sul mondo un punto di vista nuovo, orientato verso l'intento: "Quando trent'anni fa - ci dice l'autrice - cominciai per la prima volta a cercare di osservare dall'interno cioè introspettivamente, l'effetto di modi diversi di guardare il mondo esterno, scoprii che era proprio questa ampiezza del fuoco dell'attenzione che faceva apparire il mondo più che mai intensamente reale e significativo" (p. 247). Vedere il mondo in modo più reale sembra frutto di una percezione più profonda di sé, di un più intenso esserci ed assistere. La Milner fa continui riferimenti al pensiero di Winnicott; e questo non a caso: proprio Winnicott infatti,parla di un processo creativo come integrazione interna da cui emerge il senso profondo del sé, quel sentimento di essere vivi, di essere se stessi da cui nasce appunto un' "appercezione creativa del mondo".
Ma, si dice in molte pagine del libro, il cammino verso questo vissuto d'integrazione della personalità non è semplice, passa attraverso una sor ta di perdita di sé, di tolleranza del vuoto, dell'indeterminatezza. Vien fatto di pensare a quanto scrisse Anna Freud introducendo negli anni cinquanta un libro della Milner intitolato "On Not Being Able to Paint" (1957). Anna Freud accenna alla tolleranza della regressione come un aspetto fondamentale dell'esperienza estetica e alla capacità di sopportare l'oscurità e l'incertezza per ciò che può venire alla luce come virtù terapeutica ed estetica ad un tempo. La Milner va ben oltre. L'esperienza creativa sembra per lei nascere dall'eliminazione dei confini, dal ritrovamento di uno stato originario di fusione tra il sé e l'oggetto da cui emergere per trovare nuovi confini, nuove definizioni più ricche di spazio e di significato, sia per il sé che per l'oggetto.
La mente dunque si muove e vive tra unione e separazione, creare significa accettare la non differenziazione per riemergere e rinascere con un nuovo senso della distinzione. Per chiarire questo punto del suo pensiero la Milner fa riferimenti continui all'esperienza mistica e tuttavia può essere utile per capire riprendere una breve citazione di un critico d 'arte, Bennard Berenson, cui lei stessa fa riferimento nel suo libro. Chi fa una vera esperienza estetica, dice Berenson, "cessa di essere il suo sé consueto, ed il quadro, la costruzione, la statua, il paesaggio o la realtà estetica non sono più al di fuori di lui. La dualità diventa unicità, tempo e spazio sono aboliti e lo spettatore viene preso da un'unica consapevolezza. Quando riacquista la coscienza ordinaria è come se fosse stato iniziato a dei misteri illuminanti e formativi" (p. 127).
Vorrei infine aggiungere qualcosa sul titolo del libro: "La follia rimossa delle persone sane" Può essere utile a questo proposito tornare per un momento a Winnicott e al suo concetto di mente come spazio potenziale, all'idea che esista un luogo intermedio tra dentro e fuori, un'area di scambio e comunicazione tra realtà e sogno che coincide con la libertà e la salute della mente. Ci si può chiudere, dice Winnicott, nel delirio negando la realtà, ma si può anche "fuggire" nella realtà appiattendosi ed adattandosi ad essa, negando il mondo interno del sogno e dell'immaginazione. È questa la follia nascosta delle persone sane di cui parla la Milner, è tutta nella negazione di quest'area di transizione, di movimento tra dentro e fuori, in cui la vita vale la pena di essere vissuta.
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