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Fosca, ovvero l'accollo mortale - questo dovrebbe essere per me il sottotitolo. Sì, lo so che Tarchetti faceva parte della scapigliatura, che erano autori votati al capriccio, al dolore, alla delusione, alla malattia fisica, alla speranza, al male sociale. Mescolate tutte queste cose, metteteci un certo compiacimento del dolore e delle amarezze che colpiscono gli uomini, una certa prostrazione e dedizione alle avversità - tutte. Ma io, da scorpione, sono altamente avversa a qualsiasi tipo di persona si attacchi ossessivamente, quindi ecco, alla malaugurata Fosca di turno avrei detto tipo "pussa via, stammi lontano". Sulle prime questa sembra una storia d'amore ossessivo, e invece anche no. O meglio, è una storia doppia: tra la luce di Clara e l'oscurità di Fosca, solo che quella che il racconto che veramente viene portato avanti è quello oscuro, quello di un'attrazione della bruttezza, quasi oscena nella realtà, ma che trova, non si sa come, un suo piano, surreale e artistico. La narrazione segue questa tensione ossessiva, va avanti non a parole ma attraverso i sentimenti, le reazioni emotive. Certo, c'è l'autobiografia di Tarchetti in questi pagine, la lotta con la nevrosi (esplicitata attraverso Fosca) e con la bruttezza che avranno la meglio sia su di lui e sia su Giorgio. Ma che angoscia nel leggerlo. Che angoscia nel vedere una persona strisciare ai piedi di un'altra per racimolare un affetto inesistente, mai corrisposto. Che pena vederla ingannata, derisa, umiliata.
La protagonista è una donna epilettica di singolare bruttezza e sensibilità nevrastenica che stabilisce un rapporto contorto e malato con un militare, emblema di salute ed energia. Costui viene corroso da una fascinazione morbosa che alla fine gli preclude qualunque via di fuga e salvezza. La polarizzazione ombra-luce e derivati accomuna il romanzo alla lirica “Dualismo” di Arrigo Boito. Un classico della Scapigliatura, la nostra avanguardia mancata dell'Ottocento.
descrive a pieno il potere dell’amore
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