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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2021
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Un bel romanzo storico di ambientazione popolare nella Lucania tra il 18° ed il 19°secolo.Storie di una famiglia di contadini sullo sfondo delle misconosciute rivolte popolari e delle lotte brigantesche,scritto in manera "popolare".Nel suo piccolo (in tutti i sensi!) ricorda davvero "Cent'anni di solitudine".
Belli l’inseguimento di Carlantonio e le “leggende popolari”: quella del santo Raffaele Arcangelo, sorta di Padre Pio meno mistico e più caritatevole, tiranneggiato pure lui da un padre Agostino (Gemelli); quella della sposa deflorata da Carlantonio ma omaggiata, uno dopo l’altro, da tutti i briganti; quella della preghiera di Concetta Libera; belli i pensieri di Raffaele Arcangelo sul mondo violento, “che non capisce i miracoli”. Tutte improvvise levità, ventate d’aria fresca, presenti solo nella seconda parte, perché quasi sempre hanno al centro Raffaele Arcangelo; il quale sembra infatti incarnare l’“ideologia” dell’autore: svalutate la fede e l’impegno politico e/o brigantesco, rimane la carità, concreta, preziosa. Di certo il senso del libro è nel dialogo fra lui (“ogni generazione caccia il re, si illude e poi viene sconfitta”) e il nipote, ennesimo Nigro vs (o pro) i Borboni (“la vita è movimento, azione, ribellione; non ci si può fermare”). La “repubblica dei contadini” citata nell’epilogo è in verità tema quasi assente; utile, qui, l’annotazione che ricorda come solo la riforma fondiaria e l’emigrazione risolveranno la questione bracciantile, o almeno le daranno sfogo. L’impressione generale è quella di una saga familiare alla “Cent’anni di solitudine”: manca cioè, cosa rischiosa oggi (se non nell’’87, quando invece era una novità) un filo conduttore, un crescendo di pathos; e da qui, nel finale, una certa sensazione di eccesso, di sazietà. Ci sono invece studiate, vichiane ripetizioni e una struttura ad anello (non chiuso, ed ecco la differenza col citato Ariosto). Insomma, una sorta di “Cent’anni di solitudine” con pomodoro e melanzane: storia come susseguirsi di ondate, di rivoluzioni e controrivoluzioni che coinvolgono una generazione dopo l’altra. “Se ci fosse tuo padre, quello non resterebbe sull’asino” disse Vuozzo. “Un caporale è un brac-ciante arricchito che taglieggia i pezzenti”. [… Carlantonio:] “Io non sono mio padre, e ognuno ha il caporale che si merita”.
Lo stile oscilla tra Garcìa Marquez (saga familiare; presenza del soprannaturale; narratore che condivide credenze e superstizioni dei personaggi; contrapposizione “ideologica” fra i briganti Francesco e Carlantonio Nigro, padre e figlio, che si ripresenta invertita anni dopo, fra Carlantonio e suo figlio Vitodonato), il Verga dei “Malavoglia” (dialettismi lessicali e sintattici, proverbi, parziale “regressione” del narratore, storia familiare, ambientazione popolare), lo Jovine di “Signora Ava” e l’Alianello de “L’eredità della priora”; più indiretti gli echi di altri narratori meridionali (il Silone de “Il seme” e il Consolo de “Il sorriso”; assenti, direi, i citati De Roberto e Tomasi di Lampedusa). La narrazione è spesso fitta di riferimenti geografici, sociali, di personaggi e microstorie, senza dare però l’impressione di erudizione o creare fatica nella lettura, ma anzi con la naturalezza e la semplicità delle narrazioni popolari (malgrado le oscillazioni verso un lessico più colto, talvolta pure nei discorsi dei personaggi umili). Non vi sono descrizioni, ma particolari vividi; idem per le vicende, sempre scorciate: in fondo sono i modi della narrazione popolare. Si sente insomma, al fondo, la tentazione di creare un’enciclopedia narrata del mondo contadino. L’ottica sostanzialmente regredita (alla Verga) dà un’immagine molto realistica (o molto postmoderna) delle vicende e dei personaggi, della loro amoralità o scarsa moralità, una volta costretti alla macchia dalle ingiustizie o dal desiderio di vendetta; con il rischio, magari, di un deficit di riflessione morale. Gli uomini appaiono (quasi) tutti irrimediabilmente persi nella violenza e nell’amoralità, le donne sono spesso violentate. I briganti sono stupratori sistematici, spesso rapinano poveri o religiosi, uccidono per niente e a volte tradiscono (o sono traditi). Ricorrono nomi di briganti famosi e talvolta le loro figure,come quelle di Sciarpa e Taccone, Ninco Nanco e Crocco. [Continua]
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