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Un libro che è ormai da considerarsi un classico, che affronta in modo non propagandistico l'Unità d'Italia. Un approccio né filo-sabaudo, né filo-borbonico. Uno sguardo quasi disilluso sulla politica e la società siciliana del tempo. La celebre frase del romanzo "è necessario che tutto cambi perché nulla cambi" è pronunciata da chi non ti aspetteresti, dal giovane Tancredi, da chi penseresti si impegni prima con i garibaldini, poi con l'esercito regolare per migliorare le sorti dell'Isola. E' un libro amaro, accattivante, poetico. Sicuramente da consigliare.
Si dovrebbe trattare questo libro come un vino d'annata, lo si deve centellinare per apprezzarne maggiormente il gusto, la lettura non deve essere frettolosa, altrimenti le descrizioni accuratissime alla lunga tedieranno la nostra capacità di ricreare le immagini. Le singole parole incastonate in periodi perfetti sono in grado di deliziare il lettore, purché naturalmente vi si dedichi il tempo necessario. Non é la trama che ci deve rapire, non é il destino di Sua Eccellenza quello che ci deve incuriosire, ma é la profondità e l'abilità dell'autore che ci affascina nel dipingere degli archetipi umani.
Rileggo per l’ennesima volta questo libro che ritrae il crepuscolo di un mondo e di una classe sociale, e che è pervaso dal senso di dissoluzione e di morte: da quella, in apertura, di un soldato trovato cadavere nel giardino dei Salina, ai tocchi funebri di campane che fanno dire a don Fabrizio «Finché c’è morte c’è speranza»; dal quadro di un moribondo esposto a Palazzo Ponteleone che induce nel Principe pensieri foschi e al tempo stesso consolatori – quelli che egli rivolge implorante alle stelle mattutine – fino al ricordo, poco prima di spirare, dell’acuto motteggio di Tancredi «Tu, zione, corteggi la morte». Morte a cui si intercala spesso l’eros nelle descrizioni di affreschi sensuali e voluttuosi, di infiorescenze d’aspetto lascivo che effondono fragranze carnali, dei desideri libidinosi di Tancredi e Angelica nelle stanze segrete di Donnafugata. Ma il romanzo va ben al di là di eros e morte, e spazia arioso dalla campagna arida e assetata ai vicoli di Palermo, dai poveri borghi agli sfarzosi palazzi aristocratici; l’Autore sfoggia grande profondità nella rappresentazione a tutto tondo dei personaggi, grande immediatezza nel ritrarre una Sicilia cotta dall’arsura, grande sensibilità nel cogliere la dolorosa disperazione di un’isola dalla cui angoscia non si vedono vie d’uscita se non appunto nel riposo eterno. Un’opera sontuosa da tenere a portata di mano per rileggerne ogni tanto qualche pagina.
Recensioni
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Dopo il lavoro compiuto nel "Meridiano" Mondadori del 1995, in cui ha raccolto l'opera completa di Tomasi, ora il curatore e nipote adottivo Gioacchino Lanza ripropone il romanzo che ne è in assoluto il cuore: "Uno dei tre o quattro libri del secondo Novecento che hanno travolto su scala mondiale lo sbarramento fra capolavori e masse"; così sostiene Francesco Orlando, qui spesso citato, in L'intimità e la storia, saggio di lettura del Gattopardo da non dimenticare. Una nuova edizione forse non era necessaria, e l'ha notato il sicilianista del "Corriere" Matteo Collura. Questa però è tanto più maneggevole del corposo "Meridiano", occupato per tre quarti dalle lezioni di letteratura inglese e francese, che può giustificarsi e rendersi utile al lettore. L'aggiunta nuova è costituita da un frammento rinvenuto con altri materiali autografi e dattiloscritti nel 1998, poche pagine intonate allo scherzo, amarognolo però e sempre gattopardesco; vedi, a proposito della carriera politica di Tancredi: "Egli militava nella profittevolissima sfumatura di 'estrema sinistra della estrema destra', trampolino magnifico che doveva poi permettergli acrobazie ammirevoli e ammirate". La premessa del curatore, pur essendo principalmente impegnata a riassumere la laboriosa vicenda testuale e le traversie della pubblicazione, non ha tuttora perduto il pregio dell'affabilità. Per ricostruire il contesto e i rapporti fra testo e autore, Lanza ha usato la semplice forza evocativa dei nomi e la forza più complessa e ambiguamente suggestiva che ha il racconto del testimone (speciale testimone anche lui, come Orlando). Le sue pagine si salvano infatti dal veloce invecchiamento che punisce, in questi anni, quanti sono incappati nelle strettoie metodologiche e critiche.
Lidia De Federicis
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