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Il teatro di Luigi Pirandello e la sua vita tormentata sono l'oggetto di questa minuziosa biografia. La narrazione spazia dai problematici rapporti familiari di Pirandello alla spiegazione e all'interpretazione delle sue numerose opere, non tralasciando ovviamente la sua relazione privilegiata con la grande attrice Marta Abba e le sue posizioni politiche di chiaro appoggio al regime fascista. Lettura impegnativa, ma stimolante, resa più difficoltosa dall'andamento altalenante della narrazione, volutamente incurante della cronologia.
Una biografia attenta e dettagliata scritta col cuore e con la penna di un fine conoscitore della Sicilia. La descrizione di un artista insigne che con le sue difficoltà familiari diventa per noi un uomo fragile, non immune da infelicità e sofferenze.
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In una lettera del 1921 a Ugo Ojetti Pirandello poneva una netta alternativa tra vita e scrittura: "La vita, o si vive o si scrive. Io non l'ho mai vissuta, se non scrivendola". Più tardi, nel 1933, rivolgendosi a Benjamin Crémieux, suo traduttore francese, ribadiva: "Voi desiderate qualche mia nota biografica e io mi trovo assai imbarazzato a fornirvela e questo, mio caro amico, per la semplice ragione che ho dimenticato di vivere, l'hò dimenticato al punto da non saper dir niente, proprio niente, della mia vita. Potrei forse dirvi che non la vivo, ma che la scrivo. Di modo che se voi vorrete sapere qualche cosa di me, potrei rispondervi: aspettate un po', mio caro Crémieux, che mi rivolga ai miei personaggi. Forse saranno in grado di fornirmi qualche informazione su me stesso". Matteo Collura, nella sua recente biografia, prende alla lettera questa dichiarazione di Pirandello: lo fa già a partire dal titolo, Il gioco delle parti (Vita straordinaria di Luigi Pirandello è il sottotitolo); quel che segue è un discorso serrato, fatto di puntuali corrispondenze tra opera ed esperienza vissuta. L'impresa non è nuova; altri biografi dello scrittore siciliano (Federico Nardelli, Gaspare Giudice, Enzo Lauretta) hanno praticato, con maggiore o minore intensità lo stesso terreno, rintracciando nella narrativa e nel teatro di Pirandello l'occasione esistenziale che ha offerto la materia prima: il fidanzamento interrotto con la cugina Lina, la follia della moglie Antonietta che diventa la follia di tanti personaggi pirandelliani, la passione assoluta e non ricambiata per Marta Abba, di cui è intessuta una parte consistente della sua produzione tarda e ancora singoli episodi della vita dello scrittore fissati, come un fossile nell'ambra, nella definitiva forma letteraria. Il racconto della "vita straordinaria" di Luigi Pirandello ha della biografia la ricchezza di informazioni (molti, in particolare, i rimandi all'epistolario, e soprattutto al carteggio con Marta Abba), ma è leggibile come un romanzo, accortamente montato; Collura alterna vero e verosimile; procede (usiamo le parole di Manzoni) inframmezzando ai dati storici e ai documenti "circostanze verosimili, inventate da lui" in modo da ottenere "non una mera e nuda storia, ma qualcosa di più ricco, di più compito"per rifare"in certo modo le polpe a quel carcame, che è, in così gran parte, la storia". Assi portanti della narrazione sono il legame con l'attrice Marta Abba e quello con la moglie, Antonietta Portulano. Marta Abba è riconosciuta dal maestro, con toni accesi e adoranti, come propria musa; ma è ad Antonietta che buona parte dell'opera pirandelliana deve pagare il proprio debito. Una croce, Antonietta, il cruccio di Pirandello padre di famiglia, ma anche una potente fonte di ispirazione. Nella narrazione di Collura il filo logico ha la netta prevalenza su quello cronologico: episodi precisi della vita del maestro (il viaggio a Stoccolma per il premio Nobel, i soggiorni americani, la notte, un'atroce notte, a Como con Marta Abba, gli incontri con il Duce ) sono il punto d'inizio di un racconto in cui il piano temporale del presente si incastra e rimanda a momenti passati, attraverso l'uso costante del flash back. Spesso la parola viene ceduta ai documenti e il protagonista, Luigi Pirandello, ha modo di parlare con parole proprie. L'inizio del suo "involontario soggiorno sulla terra" viene così descritto da lui stesso: "Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna di olivi sarceni affacciata agli orli d'un altipiano d'argille azzurre sul mare africano. Si sa le lucciole come sono. La notte, il suo nero, pare lo faccia per esse che, volando non si sa dove, ora qua ora là, vi aprono un momento quel loro languido sprazzo verde. Qualcuna ogni tanto cade e si vede allora sì e no quel suo verde sospiro di luce in terra che pare perdutamente lontano. Così io vi caddi quella notte di giugno ". Si era nella contrada Caos, a Girgenti, nell'anno 1867, l'anno in cui il colera infieriva in Sicilia: "Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà ". Difficile immaginare una situazione più pirandelliana di questa. A iniziare dalla nascita, è poi tutto un susseguirsi, nella vita del maestro, di eventi sottratti alla casualità e inseriti nel solco della necessità, quasi una dimostrazione more geometrico dell'antico detto per cui il carattere dell'uomo è il suo destino. A proposito di autobiografie, Giacomo Debenedetti distingueva tra le "autobiografie della memoria", quelle in cui chi si racconta recupera "per modi e rivincite e complicità musicali, quanto è stato frodato dalla slealtà del destino" e "autobiografie della speranza", quelle in cui la "linea dell'Io" e la "linea degli eventi" convergono, in cui i fatti si assumono la responsabilità di rendere esterne le segrete pulsioni dell'io e che restituiscono con "menzione onorevole, quanto è dovuto alla lealtà del destino". Se è lecito estendere alle biografie quello che vale per le autobiografie, forzando un poco la bella definizione di Debenedetti si può affermare che Il gioco delle parti è un caso limpido di "biografia della di-speranza". Anche lo stile di Collura inattuale e un po' fané pare voler assecondare quest'idea e contribuisce a esaltare e sottolineare la sofferenza del personaggio-Pirandello. Non a caso il libro si chiude con la parola "infelicità". Resta in ombra, in questa biografia, un aspetto che lo stesso Collura suggerisce, mettendo in esergo una bella citazione di Giovanni Macchia che parla, a proposito dello scrittore siciliano, di "un oscuro desiderio di felicità, sensuale, meridionale", di un vitalismo senza il quale non lo si può comprendere appieno. Senz'altro quell'unica parola, "infelicità", sta stretta a Pirandello, sta stretta alla sua arte "ribelle e rivoluzionaria", sta stretta all'uomo consapevole che il pur soffocante e drammatico gioco delle parti, alla fine, non è una cosa seria. Giovanna Lo Presti
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