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Le memorie di una ragazza della provincia toscana: la vita in campagna, la famiglia, il collegio. Un romanzo d’esordio dal sapore ottocentesco non privo di tratti di modernità.
Si deve alla lettura di questo elegante volumetto inserito nella collana "La memoria" un piacere assai sottile, e morbido, che deriva dal trovarsi davanti un libro di ricordi capace di evitare le trappole di privatissime rievocazioni. Queste richiedono, abitualmente, ai lettori una connivenza che non sempre si è disposti a concedere verso storie che spesso sembrano avere importanza soltanto per chi scrive. I giorni delle bisce nere non è di tal genere, anche se il lievito della memoria e la fertilità dei ricordi fermentano in ogni pagina: non è celebrativo di alcun passato, è invece la riscoperta di quella che fu una trasformazione. Molto opportunamente l'autrice non chiude il libro nel segno di un'affermazione; la vita, quando le ultime parole del racconto sfumano in leggerezza, comincia appena. La grazia più autentica del racconto sembra consistere soprattutto nel suo procedere per lampi, per illuminazioni, per quadri che si compongono in una rievocazione che evita tanto le punte aspre del dramma quanto le petizioni sentimentali del ricordare accorato. "Di notte cercavo con i piedi il calore del gatto, era la certezza della realtà contro i miei sogni di bambina": il libro tiene fede alla morbidezza di questo attacco, che subito ci immette in quella che sarà l'atmosfera dominante e ci fornisce le coordinate immaginative sulle quali ci dovremo muovere (la "fisicità", l'importanza di tutto quel che è corpo); fissa subito, con notazione un poco stregonesca (la notte, il gatto...) un clima al quale saremo richiesti di abituarci, via via che il racconto procede. Ed è davvero ricca di suggestione la "favola" boschiva, lancinante, del nido delle bisce nere: un accenno o poco di più: ma un grumo di paura e di fascinazione che, in altre forme e attraverso altre vicende, ritroveremo in molte pagine del racconto. Certo, la campagna toscana domina sovrana in questa storia: solare, trafitta di luce, alta di sole, con il passaggio di tanta letteratura italiana, e il nome di Tozzi è il primo che si affaccia alla mente, anche se la Toscana dei Giorni delle bisce nere non ha quella incombente tragicità... Del resto, al plein air denso di forza si succedono o si alternano quadri di interni che hanno quasi una colorazione di mistero: sono soprattutto gli ambienti del collegio nel quale avviene il passaggio alla maturità della protagonista. È l'epoca in cui la ragazza, che ha lasciato la casa dell'infanzia, scopre l'ombra dentro di sé: per attraversarla non ha che la solitudine, e per viverla capisce che non può esserci che il distacco da molto di tutto ciò che, fino a quei giorni, è stata la sua vita. Sono pagine molto lievi, pervase da vibrazioni attentamente controllate, continuamente attenuate da una sorta di timore davanti al possibile eccesso degli effetti; la prosa si fa particolarmente duttile, in consonanza con la riflessione che ridesta nella memoria l'emozione della scoperta dentro di sé di una persona nuova, ignota, diversa; una creatura da vivere con una differente consapevolezza. Il passaggio dalla realtà al sogno, così come il ritorno dal sogno al vero è tutt'una cosa ("Dietro il paravento non c'è più luce, tutto è scomparso. Mi guardo intorno perché non riconosco dove sono: il sogno mi ha trascinata in luoghi profondi e ignoti, riemergere è lento e faticoso"). Così anche il ricordo di feste o cerimonie o accadimenti consueti (un matrimonio, l'arrivo di un carro, un incontro abituale con un venditore ambulante...) diventa una sorta di favola: in realtà (ed è questo un motivo in più che rende il libro suggestivo) agli occhi della bambina diventata ragazza tutto quello che era stata abitudine si è fatto mito della quotidianità.
recensioni di Ferrero, P. L'Indice del 1999, n. 06
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