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Anno edizione: 2019
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Una scrittura travolgente quella di Claudio Fava, figlio di Pippo Fava, intellettuale e giornalista ucciso dalla mafia nel 1984. Claudio Fava si è formato nella fucina della redazione I Siciliani, collaborando proprio con il padre, ereditando una genetica lessicale che lo fa essere un autore superbo. Il romanzo è ambientato nell'Italia degli anni Trenta, quando il regime fascista cercò di imporre il suo totalitarismo partendo dagli ambienti accademici, dove comunemente dovrebbero esserci liberi pensatori. Certamente lo era Mario Carrara, antropologo e medico legale torinese nel quale trova ispirazione il romanzo. Il professore si rifiuta di giurare fedeltà al regime e al Duce, mantiene integra la sua intellettualità perché sente di essere libero attraverso il sapere e quella dedizione ordinaria, scandita giorno per giorno. Nemmeno di fronte al corpo esanime di un suo ex corsista c'è la commozione scontata e banale imposta dalla morte. Il professore difende il suo rigore e impartisce la sua ultima lezione ai suoi allievi, ai carnefici del regime e alla morte stessa. La cornice storica è allietata dalle conversazioni di due vecchi amici: Alfredo Gualtieri e il docente universitario. Sono lo yin e lo yang di un romanzo strepitoso, dove ogni parola è una luce che frammenta il buio per restituisce dignità e memoria a chi coraggiosamente seppe dire NO.
Recensioni
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IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici
Nel 1931, il regime fascista coniò un giuramento di fedeltà da sottoporre ai docenti universitari di tutta Italia. Su 1250, solo dodici insegnanti rifiutarono. Claudio Fava prende ispirazione da questo evento per stilare il suo elogio di uno dei dodici: Mario Carrara, insegnante di Antropologia Criminale e Medicina Legale all’università di Torino.
Il giuramento è un libro breve (appena 118 pagine) che si ripropone di narrare solamente uno spaccato della vita del “professore” – nel testo il suo nome non viene mai pronunciato, e l’azione si sposta da Torino alla Sicilia – e la sua progressiva presa di coscienza che culmina nel rifiuto del giuramento. Il rifiuto rappresenta il punto di massima tensione, ma non c’è scioglimento. Le conseguenze di questo gesto sono soltanto accennate nell’Epilogo.
Accompagniamo il professore nei suoi ultimi momenti di tranquillità, tra la casa e l’università (dove tuttavia si avvertono già le infiltrazioni della politica fascista), fino all’arrivo del famigerato giuramento, che incrina il fragile equilibrio tra il professore e il regime. Da questo momento i dubbi aumentano, emergono le incongruenze della società dell’epoca, si avverte come la libertà sia in pericolo e, al tempo stesso, l’adesione al regime sia quasi totale.
Il professore prende la direzione opposta, andando incontro a gravi conseguenze.
Ciò nonostante, non si tratta di un libro “politico”. Quando viene introdotto, il professore si presenta come un personaggio riservato, quasi noioso, lontano com’è da ogni pulsione umana, ogni passione, ogni febbre politica.
L’intellettuale impegnato è rappresentato dall’amico e collega Alfredo Gualtieri, che dietro la facciata amichevole nasconde un animo socialista. Gualtieri tenta invano di portare il professore dalla sua parte, di convincerlo a impegnarsi attivamente.
La trasformazione del professore avviene secondo un processo intimo, privato; l’unico vero dialogo si instaura con la domestica Tilde. Assistiamo alla nascita – o forse alla rivelazione – di un sentimento che, possiamo supporre, in altri tempi sarebbe sfociato in una storia d’amore. In questo caso, tuttavia, resta un’idea, un potenziale, un’oasi felice che gli dà forza nel mantenere la posizione.
Intorno al professore si muove un piccolo numero di personaggi caratterizzati in maniera forse troppo netta. Il già nominato collega del professore, Alfredo Gualtieri, segue un po’ lo stereotipo del ribelle dichiarato che però, al momento della prova, si tira indietro. Il preside di Facoltà è un servitore del fascismo viscido e mellifluo. I ragazzi, gli studenti del professore, appaiono come un campionario di reazioni al regime. Si va dall’entusiasmo di Baldini, che si presenta a lezione con camicia nera e pugnale e viene in seguito punito da un capomanipolo presuntuoso, all’antifascismo di Malagò – un sentimento che si rivela, in realtà, in una scena funzionale all’evoluzione del professore –, passando per l’appoggio più o meno tiepido degli altri studenti.
I dialoghi, di conseguenza, risultano spesso artificiosi; si percepisce lo sforzo, da parte dell’autore, di rivelare la trasformazione del professore attraverso le sue parole, ma i suoi interventi, per quanto sinceri e commoventi, paiono quasi sempre fuori luogo. Quella del professore è una voce che grida nel deserto, perché manca un uditorio credibile, tridimensionale.
L’eccezione, ancora una volta, è rappresentata dalle conversazioni tra il professore e Tilde, allo stesso tempo più naturali e più profonde. Personalmente avrei preferito che questo rapporto fosse stato più approfondito, a scapito di altre scene – penso ad esempio all’intermezzo tra Baldini e il capomanipolo – che non aggiungono nulla alla vicenda principale.
In conclusione, Il giuramento è un’opera gradevole. Tuttavia, c’è stato uno scollamento tra la vicenda originale e la vicenda narrata: nel tentativo forse di non scrivere una mera biografia di Carrara, vengono eliminati molti riferimenti spaziali e temporali che annullano l’intento celebrativo dell’opera.
Non dovrebbe essere necessario leggere Nota e Appendice per comprendere la portata degli eventi e l’importanza del gesto di Mario Carrara.
Sonia Aggio
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