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Anno edizione: 2006
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Nei contenuti molto simile al precedente "la globalizzazione e i suoi oppositori", e questo ne rende la lettura un po' pesante. Lo stile è elegante, chiaro, ma prolisso. E' bene, prima di leggerlo, conoscere i fondamenti ( e magari qualcosa in più ) dell'economia. Ne risulta, contrariamente a ciò che dice il risvolto di copertina - e pure il titolo - un ennesimo atto di accusa della globalizzazione a senso unico, che arricchisce i ricchi ed impoverisce i poveri in modo...globale, ovvero in tutto il mondo. Le soluzioni proposte dall'autore rischiano tuttavia di rimanere soltanto buone intenzioni, in quanto la loro applicazione coinvolgerebbe tanti e tali di quegli enti, società, stati, persone, istituzioni, che a metterli d'accordo tutti nella chiave proposta da Stiglitz pare, a mio modesto avviso, quasi impossibile.
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A pochi anni dal succès de scandale suscitato da La globalizzazione e i suoi oppositori (Einaudi, 2002), Joseph Stiglitz torna, con questo suo ultimo libro, a riaprire il dibattito intorno a un tema che dovrebbe essere centrale nell'agenda di politica economica internazionale di inizio secolo.
La forza argomentativa delle tesi avanzate dal premio Nobel per l'economia 2001, fondate su una rigorosa analisi teorica condotta per circa quarant'anni contro il cosiddetto "fondamentalismo" del mercato che si ispira alla fin troppo abusata metafora smithiana della "mano invisibile", è infatti ulteriormente estesa e approfondita, con una tenacia e un coraggio degni della fama dell'autore.
La globalizzazione che funziona può essere concepito, per molti versi, come complementare al precedente libro del 2002. Mentre quest'ultimo era stato pensato e scritto soprattutto come j'accuse contro gli interventi degli organismi internazionali, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale in testa, realizzati in particolare durante le crisi nel Sudest asiatico e nel corso della transizione dell'ex Unione Sovietica verso l'economia di mercato (cfr. "L'Indice", 2003, n. 10, dossier), il libro appena uscito fornisce invece al lettore, anche non specialista e in modo molto pragmatico, una serie di misure di politica economica internazionale che si rendono urgenti per "far funzionare la globalizzazione" (e questa, forse, sarebbe stata la traduzione più felice del titolo originale americano Making globalization work).
Stiglitz, dopo essersi dimesso dalla carica di vicepresidente della Banca mondiale, in forte polemica con le decisioni dell'establishment,si è quindi concentrato in questo libro sul "che fare" per evitare che le molte ombre e le pochi luci ancora presenti nell'attuale fase di globalizzazione possano oscurare del tutto lo scenario economico mondiale, facendo implodere un processo che, se governato in modo diverso e più democratico di quanto sia avvenuto fin'ora, potrebbe gettare le basi per un mondo migliore (così afferma infatti, con una nota di ottimismo, il sottotitolo del libro).
Come si evince dall'intervista qui accanto ragione per cui non occorre qui dilungarsi nei dettagli delle proposte avanzate nel volume Stiglitz si dimostra per molti versi ancora lapidario relativamente all'impostazione seguita dagli organismi internazionali: le misure a "taglia unica", spesso ispirate a modelli economici neoliberisti, vanno rigettate e sostituite con misure ad hoc per i paesi sottosviluppati e in transizione, che siano finalizzate allo sviluppo e alla crescita; l'idea che il libero commercio favorisca, sic et simpliciter, il benessere globale va rivista criticamente alla luce dei costi e dei benefici che comporta per le economie sviluppate e per quelle emergenti; il sistema della proprietà intellettuale e dei brevetti, così com'è ora, favorisce purtroppo solo i paesi più ricchi e la ricerca applicata privata, a danno di quelli poveri e della ricerca di base e pubblica. Per quanto riguarda poi le misure per la stabilità finanziaria globale, Stiglitz ribadisce l'importanza del controllo dei flussi di capitali speculativi come sta facendo, per esempio, la Cina: tema, quest'ultimo, sul quale persino il Fondo monetario internazionale ed è il caso di dire: finalmente! sembra aver fatto autocritica.
Naturalmente l'autore non cade mai nell'ingenuità di credere che le misure che vengono suggerite, in termini di interventi di politica economica internazionale, possano realizzarsi senza costi e senza un radicale capovolgimento degli interessi costituiti. Tuttavia, ispirandosi alla filosofia sociale di Keynes di cui Stiglitz è, e rimane, un estimatore, sembra ritenere che alla fine siano sempre le idee a imporsi sugli interessi costituiti e non il contrario!
Lino Sau
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