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Anno edizione: 2023
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Vincenza Alfano ritrova una vicenda vera della sua famiglia e la restituisce come narrazione avvincente, salvando per il futuro le voci, i gesti, i protagonisti di una pagina importante della nostra storia.
«In La guerra non torna di notte riverberano i racconti di migliaia di altre donne, diversissime per età e censo, ma così simili a Cenzina, nell’ansia di sfuggire a un destino già scritto, di essere, finalmente, «come quelle donne – poche, spavalde, nuove – che decidevano assieme agli uomini come doveva andare il mondo». Protagoniste di una miriade di storie di liberazione personale che s’intrecciano con l’epica della guerra di Liberazione.» - Benedetta Tobagi
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Questa è la confessione che una nonna lascia in eredità alla nipote, la storia di una guerra esteriore ed interiore, un memoir ispirato da una storia vera che mi ha davvero emozionata.
Mi sono chiesta più volte quale sia il punto di inizio, quale sia quel pensiero in grado di raccogliere l’interezza del romanzo di Vincenza Alfano. Credo che appartenga alle primissime pagine del libro allorquando la scrittrice vibra le parole “Ognuno ama come sa”. Immacolata rinuncia alla figlia Cenzina che a sua volta diventa figlia di zio Bernardino; Immacolata conosce e racchiude l’amore più feroce, quello asfittico, quello che non avverte riparo e riposo. Le giornate di Cenzina sono votate alla costante ricerca del suo “posto del cuore”, un posto che continua a sfuggire, ad impoverirsi anche con il matrimonio con Pasquale il cui ruolo di marito e di padre appaiono indiscutibili ma verso cui fa fatica Cenzina a creare il suo legame. Ed ecco che subentra la notte, non solo a tenere distante la guerra ma a tenere distante la rabbia di Cenzina perché Cenzina soffre di continue implosioni, “asseconda le priorità senza mai cedere ai sentimenti”. Cenzina si riconosce finalmente in quel “Jatevenne”, urlato non solo nei confronti dei tedeschi, un urlo quello che brucia l’aria, non il suono di un lamento ma la corazza che abbatte il nemico, è l’urlo liberatorio e rabbioso che impone alle paure, le proprie, di andare via da quel corpo, quello di Cenzina, martoriato dai “perché”. Cenzina non paga le conseguenze della resa della madre, Cenzina paga le conseguenze dell’amore di quella madre. Ecco che l’odio appare necessario per non soccombere “alla sofferenza dell’abbandono”. Gigino è, invece, il figlio fortunato perché a lui è concesso restare accanto a Immacolata, seppur nell’indigenza e nella assoluta e acclarata mancanza di possibilità, lui è ritenuto il figlio fortunato perché è il figlio che ad ogni livido conosce la carezza della madre.
Nonna Cenzina era forte, si era armata di coraggio e aveva gridato “Jatevenne”, quella che era diventata la parola d’ordine della lotta ai tedeschi durante le Quattro Giornate di Napoli. E poco importava se questo le aveva causato contrasti con Pasquale, fascista convinto e devoto al Duce, Cenzina si era caricata di tutte le responsabilità, aveva messo al sicuro le bambine e ed era scesa a lottare con gli altri.E’ un lungo racconto, aperto e chiuso da pensieri carichi di affetto e di riconoscenza, che quasi in forma di diario porta i lettori e le lettrici a conoscere Cenzina, dapprima bambina senza alcuna possibilità economica, poi adottata da uno zio che col suo benessere le aveva permesso di vivere negli agi, sempre accompagnata dalla musica del suo amato pianoforte, e poi sposa obbligata di Pasquale, pasticciere da sempre che poteva garantirle una vita serena.Un libro dai forti sentimenti, un omaggio a una nonna determinata questo di Vincenza Alfano, scritto in maniera lineare e coinvolgente, capace di scavare nella personalità di una donna di altri tempi.
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