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Scrittore originale e non facile Arbasino. E' stato il primo suo libro che leggo a seguito della sua scomparsa, e l'ho trovato interessante e ricco di spunti. Certo ci sono parti toste da mandare giù, specie il secondo capitolo: pieno di nomi, elenchi, inframmezzi di frasi e parole in francese, inglese, latino, dialetti vari, continui rimandi a storie, esperienze, elenchi di autori in cui è facile perdersi e la confusione spesso prevale. Ho trovato interessante i giudizi di Gadda riguardo ad alcuni autori della letteratura italiana, in particolare su Foscolo (mezzo massacrato, ma non sono molto concorde), Manzoni, Pascoli, D'annunzio etc..L'autore però rimane originale e distaccato, con quell'aria da snob dalla "r"moscia, sulla quale anche lui ci scherza sù.
Scoppiettante ritratto di Carlo Emilio Gadda, l'ingegnere più letterario e più refrattario alle luci della ribalta d'Italia, ma anche del contorno dell'attività culturale e di "vita" degli anni '40/'60. Lo stile di Arbasino è provocatorio, come se volesse testare fino a che punto il lettore vuole ed è in grado di seguirlo, prova ne è il capitolo Una Lombardia fantasma, tostarello da mandare giù, ed anche il più lungo, forse troppo. Ma per passione nei confronti dell'ingegnere, e di Arbasino naturalmente,lo si può affrontare.
Un Arbasino fiammeggiante e in gran forma tesse le lodi ,senza piaggeria, del grandissimo CARLO EMILIO GADDA, scrittore "no global" ante litteram, intraducibile ,multiforme,stratificato, proteiforme e proteico:tra coloro che possono dare vigore e forza espressiva a una letteratura(la nostra contemporanea) esanguemente globalizzata,impersonale, con patetici tentativi di qualche scribacchino di fare "l'arrabbiato" DA LEGGERE ,anche come stimolo a RI-LEGGERE le opere dell'INGEGNERE
Recensioni
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I saggi su Carlo Emilio Gadda che Alberto Arbasino ha raccolto nell'Ingegnere in blu incrociano due prospettive. La prima insiste sul tema dell'isolamento dello scrittore e dell'uomo. Ancora negli gli anni trenta e quaranta, infatti, Gadda era soltanto un "outsider", o un "umorista" allineabile a Campanile e Zavattini o, ancora, un innocuo giocoliere del linguaggio, su cui si allungava l'ombra di un presunto tardo approdo alla scrittura. Faticavano a essere compresi i suoi "interessi enciclopedici", la cultura non solo letteraria, il gusto per lo stile. Sfuggiva, soprattutto, quanto l'"ingegnere" ricavasse letteratura (e tormenti) dagli attriti con il mondo borghese in cui era cresciuto, ispirato "dagli interdetti agonici e dai tabù tetanici delle famiglie appiccicate e recluse che borbottano meccanicamente rosari, al buio per economia, e considerano ogni spesa una calamità, ogni scampanellata un annunzio di sventura". Né contribuivano a migliorarne l'"immagine" la sua "ritrosia" e il suo "riserbo", i suoi umbratili risentimenti, le sue "fissazioni traumatiche, riportate dalla Grande Guerra e dal dopoguerra e da tutta la vita stessa".
Messo a punto a giochi fatti, è il ritratto di un vecchio scrittore maniacale e sussiegoso, quello che Arbasino ci lascia in Genius loci, il primo dei saggi raccolti nel volume. In cui si effettua un necessario percorso "storico", procedendo a un ri-posizionamento dell'opera e dei suoi criteri ermeneutici (con Roscioni si dà al "groviglio"il ruolo di "un'oscura tecnica conoscitiva"). Però non è qui che Arbasino "spiega" Gadda. In effetti e questa è la seconda possibilità prospettica è negli altri saggi (soprattutto in Una Lombardia fantasma) che si assiste allo "scongelamento" di Gadda, e arriva a chiarirsi come all'incomprensione abbia lasciato il passo la "scoperta" dei suoi libri, che inopinatamente hanno cominciato a lasciare sulla loro strada un'"eredità". Sono queste pagine cruciali. Per quali motivi? Probabilmente perché nessuno come Arbasino ha avvicinato Gadda servendosi delle sue stesse armi: è la scrittura di Arbasino a raccontarci cos'è stato (e cos'è ancora) Gadda. Sono i suoi "esercizi di stile" fondati sull'enumerazione e la divagazione, sull'uso del "Sense of Humour d'importazione, delle Citazioni Dissimulate, delle Assonanze Sconsigliate, dell'Oralità alta o bassa" a "ridire" Gadda senza mai imitarlo, però. Detto altrimenti: la "diagonalità" di Arbasino sembra strategia tra le più appropriate per un avvicinamento all'"ingegnere". Niente di meglio del suo "bla-bla", del suo ricorso al "pasticciaccio" come metodo per restituire "l'affascinante pout-pourri" di contraddizioni quale risultava dalla sua figura stessa". O per rifare la voce all'ingegnere "parlante (
) così identico allo scrivente".
L'ingegnere in blu diventa per questa via il "diario" di uno dei "nipotini" di Gadda (come recita il titolo del celeberrimo saggio del 1959, qui riportato in coda al volume, in cui Arbasino dichiarava la sua discendenza gaddiana). Ovvero il divagatorio resoconto di un'apparizione. Tale, a ben vedere, è l'ingresso di quel gessoso signore "old fashioned", vestito di blu, con lucide scarpe nere e cravatte innominabili, nella vita romana degli anni sessanta. Ma è lì, in quell'insensato mescolamento di opposti, e, inevitabilmente, nel racconto di quel tempo, che sta la rottura dell'embargo gaddiano (e che non si spiega soltanto con il successo del Pasticciaccio, vissuto peraltro con fatica, essendo Gadda "sempre più angustiato dagli impegni editoriali, angosciato dalle conseguenze più fastidiose del successo, bersagliato di richieste balorde, perseguitato da noiosi, da matti, da perditempo, da rompiscatole"). È in quelle aree che si nasconde la chiave con cui si apre la porta che stabilisce sintonie tra la compostezza dello scrittore milanese e l'irridente clima "camp" degli arbasiniani, inclini al rovesciamento di ogni gerarchia, insaziabili di luoghi comuni e doppi sensi.
Quanto stiamo cercando di dire è che i "regesti" di Arbasino così ostentatamente distanti dall'oggetto mettono finalmente a fuoco l'opera di Gadda, a partire da un'identità, che, annidata a profondità insondabili, in alcune casi emerge (esplicito è il debito dell'Anonimo lombardo verso le Novelle del Ducato in fiamme e l'Adalgisa), in altri rimane sottaciuta. Di che si tratta? Una comune "visione delle cose"? Un senso di vuoto riempito con la dissacrante ironia e autoironia, innanzitutto verbale? La pratica del dileggio e del sistematico capovolgimento? Tutto questo, e anche, dalla parte dell'"ingegnere", qualcosa d'altro: forse il sentirsi capito, la rinuncia alla necessità di dover fornire spiegazioni, il sottrarsi al plumbeo soffocante senso di colpa. L'essere sfuggito finalmente a se stesso, almeno per poco. È inevitabile che da lì si sia potuto cominciare a capire Gadda. Andrea Giardina
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