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Breve saggio, ricco di riferimenti bibliografici utilissimi, su un elemento della comunicazione verbale ingiustamente ignorato o sottovalutato dalla linguistica: l’insulto. Questo, frequentemente declassato a espressione impropria di incontinenza emotiva e verbale, viene riabilitato nei vari capitoli sia per la sua natura comunicativa (si distingue l’impulso emozionale di rabbia, fastidio, di attivazione limbica, dall’insulto che rispetta invece precise regole semantiche, sintattiche e fonologiche) sia per la sua legittimità sociale, culturale, politica e persino economica. A me interessava approfondire soprattutto la funzione sociale e identitaria dell’insulto, il suo impiego come strumento di identificazione ideologica e/o di separazione generazionale: lavoro con i giovanissimi e mi sono accorta che certi tabù linguistici che la mia generazione ha conosciuto e “patito” sono ormai superati (penso in particolar modo alle bestemmie) quando, di contro, riconosco una sensibilità maggiore nel ricorrere a vocaboli volutamente neutri e politicamente corretti rivolgendosi e/o riferendosi alle minoranze. Purtroppo questa analisi mi ha lasciata insoddisfatta: alle bestemmie è stato dedicato un misero paragrafo a mio parere assolutamente insufficiente, quasi aggiunto malvolentieri all’interno di un capitolo che offre invece un’analisi puntuale e imparziale circa la natura sociale dell’insulto (chi insultiamo? Chi è compreso nell’insulto, quale categoria è offesa insieme al singolo destinatario?). Rimane un testo utile anche per un lavoro di introspezione: è stata un’occasione per riflettere sulla natura relazionale dell’insulto che, di fatto, non può esistere se l’insultato non ne reca offesa, e sull’importanza non di censurare il vocabolo in sé, ma di educare a comprenderne il potere e la risonanza.
Lettura non ordinaria, estremamente piacevole!
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