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Pier Paolo Portinaro riesce brillantemente nell'impresa ardua di elucidare in poche pagine il contributo scientifico e intellettuale di Norberto Bobbio. Gettate le fondamenta con il capitolo primo su "maestri e compagni", Portinaro ricostruisce quelli che sono stati i grandi argomenti del pensatore torinese: la teoria dei diritti e della libertà, della politica come azione di contenimento del potere, la concezione procedurale e funzionalistica della democrazia, la discussione sul ruolo degli intellettuali e le condizioni della pace e della giustizia. La missione filosofica e politica di Bobbio emerge fin dalle prime pagine: "Bobbio appartiene (
) alla generazione che, formatasi nell'epoca dello scatenamento degli odi politici e della guerra civile delle ideologie, vede una via d'uscita dalla crisi della civiltà nella ricomposizione di quelle fratture e ritiene che il lavoro che ora tocca agli intellettuali svolgere sia promuovere il dialogo tra le concezioni del mondo, smascherando le imposture dei falsi profeti e neutralizzando il dogmatismo degli ideologi".
Formatosi negli anni trenta del secolo scorso, quando l'Italia e l'Europa erano ostaggio della violenza di stato degli estremisti nazifascisti, la sua produzione intellettuale più significativa si è concretizzata, osserva Portinaro, nei periodi di transizione: quello dalla guerra alla pace (1943-1946) e quello che coincise con la fine della guerra fredda (1989-1991) e aprì il mondo a nuovi scenari politici, non meno gravidi di rischi di distruzione. Come dare unità alla vasta produzione intellettuale di Bobbio?
Portinaro offre una lettura convincente e propone di considerare il pensiero di Bobbio come rappresentativo della traiettoria politica del Novecento: dall'autoritarismo alla libertà, tanto nella dimensione nazionale quanto in quella internazionale. Quindi il pluralismo della società civile e l'ordine democratico costituzionale, da un lato, e le relazioni di cooperazione pacifica e quasi federativa tra gli stati, dall'altro. Bobbio ha in sostanza perseguito il grande progetto della modernità, un progetto iniziato faticosamente con la fine della Concordia cristiana e imperiale, nel Cinquecento, segnato da tremende catastrofi e però anche da grandi opportunità di riscatto, a partire dalle rivoluzioni del Sei-Settecento fino alla vittoria dell'età dei diritti con la Dichiarazione universale del 1948. La ricostruzione dell'ordine europeo e mondiale attraverso un processo politico e normativo unitario: questo è stato l'orizzonte ideale del nostro maggiore intellettuale della seconda metà del XX secolo.
Libertà e pace, quindi, secondo una direttrice di pensiero che ha radici antiche e che Bobbio stesso ha in alcune occasioni fatto partire da Cicerone e dalla sua correlazione tra pace nella repubblica e pace tra i popoli. Ma la modernità ha introdotto una grande trasformazione, perché a partire dalla nascita degli stati territoriali, della società civile, dell'economia di mercato e della cultura morale dell'individuo, alla pace si può arrivare non più attraverso l'unità imperiale, quanto invece attraverso un conflitto politico pacifico all'interno degli stati e accordi/fiducia tra gli stati stessi (ovvero con un processo dal basso non dall'alto). Come Kant aveva chiarito, il problema della pace comincia dall'ordine politico interno. Per Bobbio quest'ordine ha al suo centro non solo la libertà (come per Kant e i liberali), ma anche l'eguaglianza. La pace è quindi un percorso che coinvolge individui e stati e si manifesta attraverso la lotta contro la "furia degli estremismi" e l'addomesticamento del potere attraverso il liberalismo (teoria della limitazione del potere per mezzo dei diritti e della divisione delle funzioni), la democrazia (distribuzione eguale del potere politico), il federalismo (autogoverno locale come limitazione all'accentramento) e la giustizia sociale (limitazione delle tendenze di accumulazione del potere economico). Per Bobbio, la libertà è la condizione per la pace qualora porti all'eguaglianza: questo è un importante arricchimento in senso democratico del liberalismo classico e della dottrina kantiana della libertà civile. Il suo è dunque un kantismo reinterpretato alla luce delle lotte otto-novecentesche per l'inclusione nella cittadinanza delle donne e delle classi lavoratrici, per l'emancipazione dalla miseria e dalla subordinazione sia dentro gli stati che nel mondo.
Leggere la pace dalla prospettiva della libertà e dell'eguaglianza invece che da quella dell'autorità e della gerarchia consente anche di comprendere la sua lettura del fascismo come possibilità permanente di guerra e, infine, l'attenzione al problema della responsabilità della filosofia e degli intellettuali, un tema per Bobbio fondamentale. La sua "militanza" intellettuale in difesa dei principi ha fatto di lui un erasmiano spurio, per riprendere le parole di Ralf Dahrendorf, ovvero un liberale che non si è astenuto dall'impegno attivo. Ripercorrendo i grandi dibattiti che hanno visto Bobbio protagonista, si possono anzi ripercorrere le tappe salienti della nostra storia politica e civile. Portinaro ci guida attraverso alcuni di essi e mostra come ogni volta Bobbio abbia trovato nella discussione lo spunto per arricchire la teoria e infine per distinguere il suo liberalismo da quello classico. Il primo esempio, forse il più noto, è la discussione con i comunisti alla metà degli anni cinquanta, nel corso della quale Bobbio mise in cantiere un'interpretazione della relazione tra "libertà da" e "libertà di" che è originale e di valore impareggiabile, e che distingue il suo liberalismo da quello di Isaiah Berlin e Raymond Aron. Il secondo esempio viene dagli anni sessanta, quando, in reazione agli esperimenti nucleari, Bobbio reinterpretò la responsabilità dei filosofi di fronte al nuovo rischio di distruzione totale e riconsegnò il tema della pace alla ricerca di soluzioni normative che potessero portare gli stati oltre la semplice coesistenza pacifica. Infine, con la crisi delle ideologie classiche del Novecento, Bobbio tornò negli anni ottanta a ripensare le grandi categorie che avevano vinto sul fascismo (i diritti, la giustizia sociale, le promesse della democrazia) e che sembravano indebolirsi sotto il peso degli apparati burocratici, dell'assalto economico all'eguaglianza delle opportunità, della crescita di nuove forme di esclusione e immiserimento.
È noto come Bobbio non riuscisse a sfornare ottimismo. Figlio della tradizione illuminista e della lezione della storia, diffidente verso i creatori di utopie e gli imbonitori, egli insegnò a fare della ragione un'arma di conoscenza lucida e senza veli illusori. Ma non si fermò qui; poiché alla ragione egli sempre affiancò l'impegno etico e civile, impegno grazie al quale il suo proverbiale pessimismo prese la strada del dialogo e rifiutò quella del disimpegno scettico e disincantato.
Nadia Urbinati
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