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Anno edizione: 2014
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Su Leo Strauss occorre fare chiarezza. E non solo perché il suo nome è stato gettato in pasto alla polemica dal giornalismo pressappochista, ma sedicente colto, in perenne ricerca di copertura "scientifica" al gossip. È soprattutto necessario illuminarne la reale natura del pensiero perché si rischia altrimenti di perdere un classico. Con il neoconservatorismo americano Strauss ha poco da spartire: si tratta di appropriazione indebita o di legittima ripresa di singoli frammenti da un pensiero viceversa multiforme, le cui idee stanno dentro un reticolato difficilmente penetrabile, ma coerente. L'introduzione di Altini assolve egregiamente al compito di riparare il recente danno procurato dai media e ci restituisce la grandezza del pensiero straussiano nella sua integrità. Sin dagli anni venti il filosofo ebreo-tedesco mostrò di aver compreso perfettamente quanto la riflessione storica sia un "mezzo" necessario "per il superamento delle aporie della modernità". Non solo: assorbì e rielaborò in modo originale il nucleo politico del risveglio teologico, ebraico e cristiano, che cercava nel primo dopoguerra una risposta alla sfida che l'Illuminismo aveva portato alle religioni nel corso degli ultimi due secoli. Le promesse illuministe erano state deluse, come dimostrava agli esordi del Novecento la questione ebraica fra emancipazione e assimilazione. Il giovanile, breve, sionismo politico di Strass lo condusse nel cuore delle contraddizioni della democrazia liberale, al cui interno la discriminazione legale può essere superata, ma non quella sociale. Questa può essere rimossa solo tramite amputazioni di identità delle sotto-comunità ivi operanti. Da qui Strauss iniziò la propria impresa teorica, ardita ed eccentrica. E disponiamo oggi di un testo tanto denso quanto agevole da essere ottimo punto di partenza per far conoscere in Italia il vero Strauss.
Danilo Breschi
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