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Anno edizione: 2016
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Ho visto il film con Fiorello all'inizio solo perché stimo professionalmente questo attore ma poi la storia raccontata mi ha incuriosito ed ho voluto saperne di più e così ho comperato il libro. E devo dire che la vicenda di Mancini mi ha molto interessato anche per il modo in cui viene esposta nel libro che ho letto in circa tre giorni. Molto scorrevole, mai noioso anche quando elenca una gioventù della persona di Mancini alla quale non ero particolarmente interessato. L'unico appunto che posso fare a questo libro è la volontà anche antipatica di affermare in continuazione che Roberto Mancini era assolutamente e sopratutto un uomo di "sinistra"; Io credo invece ad un uomo che ha sacrificato la sua vita per contrastare un marciume al quale la coscienza, aiutata dal coraggio di un carattere forte, non voleva uniformarsi; Un eroe per questo e non per il suo colore politico.
Recensioni
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Talvolta l’illegalità è l’unico modo per affermare un diritto e talvolta la legalità è solo uno strumento di sopraffazione. Ma quando indossi una divisa la differenza è assai più sottile e mantenere il giusto equilibrio non è facile.
Giuseppe Mancini è stato un uomo dallo straordinario senso civico e dall’assoluta devozione nei confronti degli altri - come ricorda l’attore Giuseppe Fiorello nell’introduzione - un eroe capace di sacrificare la propria vita nel tentativo di portare giustizia nella Terra dei Fuochi – un luogo violentato dal malaffare - in cui persino l'immondizia è divenuta oggetto di corruzione.
È in tal senso rivelatrice una frase pronunciata dal boss camorrista Nunzio Perrella, il quale, una volta divenuto collaboratore di giustizia, con macabro senso dell’umorismo disse a Mancini: "la monnezza è oro, dotto', e la politica è una munnezza", lasciando presagire le inevitabili collusioni tra crimine organizzato e istituzioni. Una connivenza che fu la causa principale degli ostacoli incontrati da Mancini durante la preparazione del processo, di cui non potrà conoscere gli esiti perché stroncato da un tumore nell’Aprile del 2014, un male che è diretta conseguenza del contatto avuto con le scorie nel corso di trenta anni d’indagini.
È complicato stendere un resoconto obiettivo su uomini della caratura di Mancini perché il rischio di scriverne un'agiologia è assai elevato. Luca Ferrari e Nello Trocchia - giornalisti per Repubblica e Il Fatto Quotidiano - riescono tuttavia a fornirci un ritratto sincero, resistendo alla tentazione di ricattare emotivamente il lettore, forse perché, avendo già dedicato gli ultimi anni della loro carriera allo scandalo Ecomafia e all’estremo sacrificio di Mancini, in questo testo si sono concentrati maggiormente a delinearne con lucidità il passato, portando alla luce episodi, anche controversi, riguardanti la sua giovinezza da estremista di sinistra.
Grande rilievo hanno infatti gli anni giovanili di Mancini, caratterizzati dall’impegno politico in vari movimenti della sinistra extra-parlamentare romana, un periodo di lotte con qualche ombra, in cui il futuro commissario si trovò in prima linea a combattere, tra manifestazioni e occupazioni abusive, la polizia e il mondo della destra eversiva. La strage di Acca Larentia del gennaio 1978, in cui persero la vita dei ragazzi vicini agli ambienti fascisti, allontanò definitivamente Mancini dalla contestazione poiché in netto disaccordo con i metodi adottati dalle frange estremiste più violente. Fu forse in quell’occasione che balenò in lui l’idea, ritenuta folle dai vecchi compagni di lotta, di arruolarsi in polizia - passando quindi dall’altra parte della barricata - per combattere e riformare il nemico dall’interno.
Nei primi anni in polizia dovette affrontare la diffidenza dei colleghi e convivere con la scomoda etichetta di “sbirro comunista”, pregiudizio alimentato dalla simpatica immagine di Mancini in commissariato munito di copia del Manifesto sotto braccio e sandali ai piedi. A dispetto dell’iniziale ostilità, Mancini diventò in breve tempo agente di punta della Criminalpol, incaricato di dare la caccia ai latitanti nella capitale, comodo rifugio per camorristi e mafiosi con importanti agganci nei palazzi del potere, venticinque anni prima dello scandalo Mafia Capitale. I risultati ottenuti in quegli anni di indagini si rivelarono poi decisivi nel certificare l’esistenza di un disegno criminale, perpetrato da una parte dell’imprenditoria campana collusa con organizzazioni criminali, nell’ambito dello smaltimento rifiuti, un sistema che portò al disastro ambientale in un territorio compreso tra il Vesuvio e Caserta.
A far da cornice a questo resoconto - a metà strada tra il racconto biografico e il reportage giornalistico - ci sono i due contributi più toccanti, il primo curato da Mancini stesso nei giorni dell’agonia in ospedale, dove, stordito dalla chemioterapia e dal rimpianto di non poter assistere allo svolgimento del processo, scrisse una pagina di diario nella quale vengono rievocati i ricordi dell’ultima manifestazione studentesca ai tempi del liceo. Il secondo è invece ad opera moglie Monika - un affettuoso affresco della loro vita di coppia - in cui emergono degli aneddoti riguardanti il primo incontro.
Un testo nato allo scopo di approfondire le inchieste curate dai due giornalisti negli anni precedenti, utile inoltre come accompagnamento alla visione della fiction Rai in cui Mancini viene interpretato da Giuseppe Fiorello, impegnato in questo volume nella redazione dell’introduzione, dove ringrazia la famiglia e gli amici del commissario per averlo introdotto alla conoscenza di questo eroe normale.
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