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Rimpiango di aver, un tempo, trascurato questo autore, mea culpa. Mi affido ora al suo linguaggio, alle sue visioni e suggestioni, in questo aureo libretto adelphiano che raccoglie una serie di articoli e resoconti dei viaggi intrapresi da Manganelli in un arco di tempo che va dal 1971 al 1989, in aree europee apparentemente periferiche, nordiche. Bellissime le pagine sull'Islanda, Valga questo incipit." Non si può percorrere l'Islanda con i criteri culturali con cui si può indagare un qualunque paese europeo; non si può andare in cerca del romanico, del rinascimento, del barocco; tutta la splendida cultura islandese sta racchiusa nelle saghe, scritte o trascritte tra Due e Trecento, nelle quali si racconta il mito e la storia dei popoli scandinavi" (p.60).E già qui abbiamo le coordinate mentali e sentimentali di un viaggio ( anzi, di più viaggi), in terre estreme, alla ricerca di una identità antica e posseduta, con sapienza ed arguzia. SIne qua non.
Splendido come gli altri suoi particolarissimi resoconti di viaggio, illuminante, sguardi intensi e profondi su sterminati paesaggi naturali che stordiscono, l'acqua, il ghiaccio, il fuoco e l'aspra terra selvaggia, l'Islanda e le isole Far Oer come istantanee in movimento, una pura meraviglia. Non solo paesaggi, ma anche illuminanti punti di vista critici alle culture del nord Europa, ironia, sarcasmo e tanto altro. Stile come sempre inarrivabile, in questo caso più fruibile, meno ermetico, quasi privo dei suoi soliti ossimori simbolici spaccacervello. Spettacolo d'intuizioni, arguzie, visioni, intimismi, maestro e signore della grande letteratura italiana.
Splendido racconto di luoghi ai margini dell'Europa. Soprattutto quando il libro è stato scritto. Lingua epica e sottile al tempo stesso
Recensioni
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Ci volle un accadimento magico per far superare a Giorgio Manganelli la fobia del viaggio. A un certo punto quell'ossessione claustrofobica generò un impeto di liberazione: e Manganelli si affacciò sul mondo altro che diventò subito mondo suo, in cui l'anima sua si levò come un periscopio ingordo.
Così testimonia anche questo testo che raccoglie i reportage dal 1978 al 1989 dal Nord Europa: Svezia, Islanda il gioiello del volumetto , Finlandia, Danimarca, Scozia, Inghilterra, Germania, Norvegia. Il reportage obbliga a una certa indulgenza per il lettore, e l'autore non si sottrae a un'incisiva escursione informativa, incuneata tra rapinosi aggettivi. Né dimentica geologia e storia, urbanistica e architettura. Ma tutto diventa polpa per la sua carnivora fantasia Come scrive Raffaele Manica: "Manganelli mette sempre il reportage al servizio della letteratura". Ma, attenzione: "Fingendo di viaggiare per andare a fantasticare altrove, in realtà è rimasto a casa sua, fantasticando e fingendo anzi: fantasticando di fingere di mettersi in viaggio per andare a fantasticare altrove". Per Graziella Pulce: "I reportage sono segnati da un vistoso istrionismo, ma la scrittura non è diretta a dare espressione a quanto sentito individualmente, né a formulare giudizi di valore, pertanto anche quello dei reportage è un testo congegnato in modo da provocare una conflagrazione". Per Andrea Cortellessa che, oltre all'attenta cura del testo, ricostruisce il contesto epocale della letteratura di viaggio Beonio Brocchieri, Mario Appelius, Pierre Loti sarebbe la "mise en oeuvre di un tema la dialettica fra 'magico' incantamento irrazionalistico e suo contrario che accompagna tutto il percorso di Manganelli".
Permane il sospetto che comunque Manganelli abbia un suo metodo per penetrare il soprannaturale panorama dell'Islanda, come quello piccolo borghese di certe cittadine nordiche di provincia. È un termometro ipersensibile che cala nel magma dell'indistinto, penetra nei vari strati e riemerge per raccontarci che l'inanimato si anima, affettuoso e consanguineo; il fuori è dentro di noi, ha i nostri stessi vizi, umori, tormenti come le nostre stesse rare, piccole grazie. La sua è una etnologia fantastica, distillata nella intelligentissima, mercuriale scrittura. "Non è qui luogo per traduzioni, né vi sono interpreti; qui riconosco in me l'allusione significante in forma di angoscia, di paura, di sgomento; l'intensità non catalogata di queste forme risveglia un sussulto inquieto, simile a quello che produceva il ronzio, il compatto frastuono della selce preistorica, fatta ruotare da un uomo iniziale, sapiente e sgomento". Qui Manganelli si scopre ferito da uno spettacolo sublime, una natura fuori tempo che comunque toccherebbe il nervo scoperto dell'etnologo, dell'inviato speciale in paesi esotici ad alta densità di problemi umani e politici, del garbato viaggiatore-scrittore per incarico di qualche rivista femminile.
Ma lui in più possiede un raffinato gusto per l'appena nato, il primitivo, l'informe gocciolante materia. Mette in gioco anche la sua sconcertante predilezione per l'animalità tout court. "Io sono abituato ad un sole-tuorlo, un sole gallina, un sole animale, un'aria torbida: ma in questo mondo il cielo è stato pulito da acri venti di ossigeno puro". È capace di umanizzare persino nuvole, nebbie, piovaschi: "E certi rari abbandoni solari, fossero paesaggio dell'anima, o paesaggio sognato". Sembra che voglia lacerare la scrittura per toccare un altrove che è anche nelle tele di Burri e degli informali. A pochi chilometri dalla costa "governa, regge, regna, la lava; lava grigia, nera, candida come ghiaccio; vi sono enormi vulcani spenti, che chiudono cechi occhi di lago, dove non alligna neppure il muschio".
La scrittura di Manganelli è metamorfica, si nutre delle forme che incontra, le interroga, le palpeggia, se ne innamora. A Helsinki, tanto per prendere un esempio a caso: "Generazioni di grandi architetti hanno lavorato in questa strana città, che nei giorni di sole pare lavorata nell'aria, o in un legno tenerissimo, docile a tutte le tenerezze delle modanature ed alle scabre audacie del materiale deliberatamente crudo". È anche capace di darci la descrizione realistica (e orrorosa) di una mattanza di cetacei un raro caso, forse l'unico, di scrittura realistica in tutta la sua opera. Nella "scrittura viaggiante" di Manganelli permane l'ossessione per il primo e ultimo vagito del vivente, e l'ardente empatia per le forme, le loro intenzioni profonde, le loro fabulae segrete.
Viola Papetti
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