(Mosca 1866 - Roma 1949) poeta russo. La sua formazione culturale avvenne all’estero, soprattutto a Berlino sotto la guida di T. Mommsen che lo indirizzò allo studio della storia greca e romana. Successivamente, sotto l’influsso di Nietzsche, si dedicò allo studio del culto dionisiaco (su cui pubblicò due lavori, La religione ellenica del dio sofferente, 1904, e Dioniso e i culti predionisiaci, 1923) e dell’origine della tragedia. Quando tornò a Pietroburgo (1905), la sua casa, la famosa «Torre» di via Tavriceskaja, divenne il centro della vita culturale della città: in mezzo a poeti, critici, artisti, I. si atteggiava a vate del simbolismo. Esordì in poesia con tutto il bagaglio della sua cultura filologica; in un linguaggio fitto di arcaismi, di richiami mitologici, di parole slavo-ecclesiastiche, volle far rivivere la figura del poeta-oracolo, tramite fra il mondano e il divino (Astri piloti, 1903; Cor ardens, 1911). In una prospettiva che concepiva la poesia come attività mistica e teurgica, nel 1905 I. si immedesimò nel ruolo di profeta della rivoluzione. Abbandonò i toni solenni e metafisici solo dopo la rivoluzione del 1917, che accolse senza entusiasmo. In quegli anni, a Mosca, I. dovette affrontare la fame e il freddo e la raccolta Sonetti d’inverno (1920), che riflette in parte questa esperienza, ci dà un’immagine più umana del poeta. Nel 1920, insieme al filosofo Geršenzon, scrisse in una corsia d’ospedale la Corrispondenza da un angolo all’altro, prendendo, contro il suo interlocutore, le difese della tradizione culturale. Morì in Italia, dove si era trasferito nel 1924. Nell’ultimo periodo della sua vita, oltre a rimaneggiare articoli degli anni precedenti scrisse un saggio su Dostoevskij (1932, in tedesco), un poema, L’uomo (1939) e il romanzo in prosa ritmica Lo zarevic Svetomir (postumo, 1979).