Ma come tu resisti, vita potrà apparire spiazzante ai lettori dei due precedenti romanzi dell'autrice, La vita accanto (2011, Premio Calvino, finalista al Premio Strega) e Il tempo è un dio breve (2012). Un oggetto eteroclito, non facilmente classificabile. Siamo in realtà di fronte alle avventure storiche di un'anima − al romanzo di un'anima, però, ben radicata nel tempo − in forma di tessere, che compongono un mosaico sapientemente strutturato. Mariapia Veladiano, per chi non se ne fosse accorto, ha una tempra di moralista, una personalità fortemente e unitariamente focalizzata attorno all'asse di una rigorosa visione del mondo, visione che si rispecchia omogeneamente in tutte le sue opere, siano romanzi siano "mattutini". Il suo pensiero sa essere insieme laico e religioso, impresa non da poco. Non ha timore di affrontare temi complessi, anatomizzandoli, e quasi scorticandoli con la sua lingua a un tempo limpida, incisiva e altamente allusiva. Procede per eleganti e rapide ellissi. Dice, ma non dice mai troppo. Lascia spazio a chi legge. Tutto sembra chiaro alla superficie, ma poi si capisce che non è esattamente così. Ha gettato una pietra nello stagno. La sua scrittura funziona un po' da oggetto agalmatico, mette in moto un processo desiderante, un desiderio di saperne di più, su di sé, sugli altri, sul mondo Moralista, perché? La nozione va intesa nel senso del Seicento francese: i moralisti erano coloro che riflettevano sull'individuo, sui suoi costumi, rifiutando la sistematicità ingabbiante, rifiutando il discorso apologetico, pur essendo fedeli a una precisa ispirazione. All'epoca, la Francia era attraversata da fremiti giansenisti: un rigorismo cattolico che combatteva insieme le posizioni del lassismo gesuitico e del protestantesimo. E non a caso citiamo il giansenismo: Veladiano è una giansenista del nostro secolo, magari, anzi certamente, senza eccesso di rigore, quel sovrappiù che rischierebbe di trasformare il rigore in pura aspirazione alla sofferenza. La sofferenza c'è, dobbiamo riconoscerla, dobbiamo fuoriuscire dal narcisismo, rompere lo specchio che ci rende schiavi (Specchi). Ma c'è sempre qualcosa che possiamo fare, non limitarci al soffrire insieme (riconoscere la sofferenza non significa questo): dobbiamo intanto coltivare il nostro "fato", accettarlo, essergli fedeli, il che significa prendere kierkegaardianamente possesso di sé e dare sviluppo a questo nucleo. Bisogna però anche saper dire di no. Veladiano dice: non ci sto, faccio qualcosa, e un'azione è sempre l'inizio di un'avventura, è una nascita. Rifiutare l'accidia, il grande peccato un tempo dei religiosi, oggi, come traspare dalle parole dell'autrice, di un'intera società. L'accidia, dall'etimologia greca, è la mancanza di "cura" per sé, per gli altri, per il mondo, è crogiolarsi nella propria "infelicità vorace" (quella che un tempo si sarebbe chiamata melanconia) ovvero, più semplicemente e usualmente, nel proprio "vivere composto e scellerato". La tradizione letteraria, e non solo, italiana non è ricca di moralisti. Il più grande è certamente stato Giacomo Leopardi che nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani osservava: "Le classi superiori d'Italia sono più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni, il popolaccio italiano è il più cinico de' popolacci". C'è una capacità tutta italiana di formattare tutto nel farsesco, nel plebeo, nel cinico. Tutto tende al compromesso, alle larghe intese, non c'è comportamento per quanto indegno che non venga fatalisticamente accolto e perdonato. C'è una terribile incapacità di "sentire serio". A tutto questo è un antidoto il libro di Veladiano, che potrebbe essere letto, giorno dopo giorno come un "laico" − sia pur tramato di ispirazione religiosa − libro d'ore. D'altronde le tessere che lo compongono provengono dai Mattutini che l'autrice aveva pubblicato sull'"Avvenire" nella primavera del 2012. I temi che il volume tocca sono tanti. Compaiono sotto titoli francescanamente semplici, suddivisi in tre grandi sezioni: Sentimenti, Azioni, Parole. Fra i tanti ricordiamo Commozione, Fedeltà, Ottimismo, Giudicare, Dissipare, Scarti, Specchi. I quattro pezzi che chiudono il libro sono incentrati sulle parole o sulla "parola". Da questi, in particolare, emerge l'impulso educativo che anima l'autrice, che è anche una donna di scuola: ci sono parole che bruciano e parole che accolgono, bisogna saperle dire tutte; occorre non piegarsi alla lingua del mercato, che è "bulimia di parole, anoressia di pensiero". Ma tanto altro si potrebbe citare. Se nella Vita accanto si fronteggia la "bruttezza", nel Tempo è un dio breve la "malattia", qui si fronteggia il "mondo", sempre facendo resistenza. E sempre lo stile (e lo spirito) è il medesimo, come abbiamo già accennato: c'è perfetta osmosi tra romanzi e scrittura morale. Basterebbero i tre incipit per convincersene, e il titolo di questo libro ripreso dal Cantico spirituale del grande mistico spagnolo Giovanni della Croce, un cattolico "eretico". Mario Marchetti
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