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Anno edizione: 2014
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Nè cinema né letteratura avevano mai rappresentato il mondo della Frontiera con la cruda efficacia di Cormac McCarthy.
«Il cuore americano ha premiato McCarthy per aver riportato la narrazione nelle verdi praterie» – Fernanda Pivano
1850. Al confine tra Stati Uniti e Messico una banda di cacciatori di scalpi lascia dietro di sé una scia di sangue, sullo sfondo di una natura grandiosa e impassibile. Li comanda il corpulento giudice Holden, «enorme, bianco e glabro come un infante smisurato»: un predicatore e filosofo dei deserti che trascina con sé una corte di spostati, mezzosangue e reietti armati fino ai denti, in una spirale di ferocia e morte. Con loro c'è anche un ragazzo quattordicenne: sarà quella la sua iniziazione alle spietate leggi del West, tra agguati, lunghe marce, bivacchi desolati, notti di bagordi. È il mistero del Male e della violenza la grande ossessione di McCarthy, che fa lievitare le sue storie d'orrore ad altezze epiche, sulle orme di Faulkner, cui la critica lo ha spesso avvicinato.
Così, a bruciapelo, sono due i sentimenti - tra loro molto contrastanti - che ho provato nel leggere il romanzo: in primo luogo una sensazione di pace nelle descrizioni di una natura selvaggia, arcaica e incontaminata; dall'altro lato (spesso in contemporanea) un'altrettanto forte senso di orrore di fronte alle tante scene di violenza ed efferatezza che fanno da leit-motive all'intera vicenda. Non nascondo che in alcuni frangenti ho provato un senso di autentico raccapriccio di fronte alla spietatezza dei cacciatori di scalpi mostrata indifferentemente contro uomini, donne, bambini e animali e non ho potuto fare a meno di chiedermi come sia stato possibile che l'America di oggi che si vanta - non sempre a ragione - di essere la patria dei diritti civili, possa affondare le proprie radici in un passato di tale brutalità. A parte queste considerazioni, si tratta in ogni caso di un romanzo grandioso....non mi viene in mente altro aggettivo per definire la scrittura di McCarthy...
Libro estremamente avvincente. Lo consiglio come tutti i libri di C. McCarthy
libro potente. da leggere, non tanto per la storia, ma per il ritratto di una natura maestosa, primordiale ed enigmatica entro cui si svolgono le vicende di uomini che potrebbero essere sia i primi a comparire sulla terra che gli ultimi. ha un sapore biblico.
Recensioni
«Il cuore americano ha premiato McCarthy per aver riportato la narrazione nelle verdi praterie.» Fernanda Pivano
Meridiano di sangue è ambientato nel profondo sud degli Stati Uniti intorno all’anno 1850. Un ragazzino si unisce a una banda di spietati cacciatori di scalpi dediti a ogni sorta di crimine.
Sono la morte e la gratuità della violenza le grandi ossessioni dello scrittore americano Cormac McCarthy (premio Pulitzer per il romanzo La strada). Questo romanzo non fa eccezione: rapine, omicidi, atti di inaudita violenza nei riguardi di persone inermi sono al centro della narrazione. Beninteso la violenza per McCarthy non ha niente di compiaciuto, non vuole creare effetti splatter, serve all’autore per compiere una drammatica indagine esistenziale su un’umanità che vede sempre più allo sbando. Il linguaggio usato ha qualcosa che rimanda alla semplicità della lingua orale, dei racconti tramandati intorno al fuoco dei bivacchi.
Merdiano di sangue è il romanzo più difficile tra quelli scritti da Cormac McCarthy, quello in cui è più forte il suo debito nei confronti di William Faulkner. Un western atipico, tragico, animato da personaggi che hanno irrimediabilmente perduto la loro umanità e che si muovono in una natura matrigna e indifferente.
Recensione di Davide Peron
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