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Crudo e spietato spaccato di una realtà mai troppo evidente, un male che come un cancro uccide il lavoro e le persone al lavoro. Lo stile è introspettivo, e trovo molto interessante che sia narrato dal punto di vista di una donna alle prese con la sua vita, la sua famiglia, le sue fragilità ed un compagno sottoposto a violenza psicologica. Il tutto nello scenario dell'Incertezza che domina i nostri anni.
Tema interessante ed attuale, narrato però dal punto di vista estremamente egocentrico della scrittrice che antepone regolarmente i suoi "bisogni" a quelli di tutti gli altri (lettori compresi). Stile narrativo arrogante. Peccato: un'occasione persa.
Un racconto forte di un male della società moderna, chi ha provato, anche se pur marginalmente il dramma del mobbing si ritroverà catapultato in sensazioni conosciute, totalizzanti e annientanti. Il mobbing raccontato in prima persona dalla moglie del protagonista Jo, un racconto che descrive bene come il male non si ferma al lavoro ma si insinua e logora piano piano affetti, rapporti sociali e salute, un male che non si sa come curare, anche perchè si riproduce e si autoalimenta come un virus nella sempre più dilagante perdita di cultura e valori della nostra società.
Recensioni
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Argomento tristemente attuale in questi tempi di crisi, anche se il romanzo è uscito in precedenza, così come il bel film di Francesca Comencini a cui lo accomuna il titolo, Mi piace lavorare. Mobbing,del 2004. L'autrice, docente universitaria, trae spunto dalla propria biografia. Un impiegato comunale del settore cultura, viene licenziato senza preavviso. In realtà c'erano state delle avvisaglie: da quando era arrivata la nuova dirigente Jo era stato gradualmente emarginato. La moglie ascoltava sgomenta i suoi racconti, non si sapeva capacitare dell'accaduto, era combattuta fra solidarietà assoluta e dubbi di paranoia. Lei si occupa a tempo pieno delle due bimbe piccole, lui si ripromette di fare tutto ciò per cui non ha mai avuto tempo, ma cade in un'opaca routine da pantofolaio. Al giorno d'oggi è il lavoro e il denaro che ci dà un ruolo; lei paventa una drastica diminuzione del tenore di vita, soprattutto per le figlie. La riassunzione ordinata dal tribunale del lavoro non porta serenità, il mobbing continua: Jo viene relegato in un container nel cortile sul retro con mansioni assurde e inutili: deve tradurre in francese, lingua che non conosce. Pehnt descrive bene il senso di smarrimento che si impadronisce della coppia: lei dubita che lui sia stato parzialmente responsabile della sua disgrazia, lui le rimprovera di sbadigliare quando le parla, entrambi soffrono di insonnia, gli amici sono stufi delle loro lamentele, soprattutto dopo la riassunzione, le bambine sono turbate dagli sbalzi di umore dei genitori. È un romanzo lieve e intelligente, che descrive con realismo partecipato la caduta delle certezze e della fiducia di una coppia odierna in una situazione di crisi. La traduzione è scorrevole, ma come può sfuggire "gli sbottono" riferito a una bimba?
Marina Ghedini
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