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«Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro». Con queste parole spigolose e beffarde ha inizio La morte della Pizia e subito il racconto investe alcuni dei più augusti miti greci, senza risparmiarsi irriverenze e furia grottesca. Ma Dürrenmatt è troppo buono scrittore per appagarsi di una irrisione del mito. Procedendo nella narrazione, vedremo le storie di Delfi addensarsi in un «nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio». L’insolenza di Dürrenmatt non mira a cancellare, ma a esaltare la presenza del vero sovrano di Delfi: l’enigma.
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In questa rivisitazione originale del mito di Edipo, l’autore non si limita a reinterpretare la tragedia classica: la trasforma in un’occasione per interrogarsi sul senso dell’esistenza e sul legame profondo – e spesso ambiguo – tra religione e politica. Attraverso due figure emblematiche come la Pizia e Tiresia, presentati non come sacerdoti devoti ma come disillusi conoscitori del sistema, l’autore smaschera la truffa degli oracoli e dei vaticini, ridotti a strumenti di potere e commercio. La fede negli dèi diventa così un espediente utile a controllare le masse, più disposte a credere in verità rassicuranti che ad affrontare la complessità del reale. L’opera si muove costantemente tra ragione e fantasia, tra l’ironia tagliente della Pizia e il razionalismo lucido di Tiresia. Ma entrambe le vie – quella del cinismo e quella della logica – si rivelano incapaci di condurre alla verità. La riflessione ultima sembra dunque suggerire che tutto sia caos (p. 48), che la verità sia inaccessibile (p. 50), e che l’uomo, per quanto si affanni, non abbia potere su nulla se non su sé stesso. La conclusione è amara: la Pizia, con il suo sarcasmo blasfemo, muore senza aver dato risposte, lasciando Tiresia – e il lettore – sospesi tra interrogativi esistenziali senza soluzione. Il mito viene così rovesciato e svuotato, e al suo posto resta un vuoto pieno di dubbi, dove i grandi temi – verità, destino, caso – si scontrano senza trovare armonia.
Secondo racconto breve dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, La morte della Pizia, che questa volta analizza e sovverte il mito di Edipo, che attraverso la burla, il gioco, e la vendetta sembra profetizzare gli oracoli più strambi e fantasiosi che superano il confine tra realtà e immaginazione. E ci lascia riflettere sulle credenze umane, su ciò che chiamiamo destino, sul condizionamento per mano altrui o per auto-convincimento. Piaciuto meno de Il Minotauro, ma lettura comunque piacevole.
Un libro brillante e divertente. Analisi del mito di Edipo, ma più un generale della credenza umana nell'essere governati dal destino. Siamo davvero liberi o ci condizioniamo da soli mediante le nostre stesse credenze?
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