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Un racconto breve, perfettamente in sintonia con lo stile dell'autore e con la specificità della letteratura russa. Le parole del libro, oltre a raccontare le vicende di Ivan, ci svelano le profondità dell'animo umano, con sincerità e senza ipocrisie, mettendo a nudo la natura dell'uomo.
Non il "classico" classico di grande spessore letterario ma anche centimetrico, che fa usare con gran profusione al lettore di oggi aggettivi come lento, noioso, prolisso. No, un piccolo immenso libretto di un centinaio di pagine, che inizia con il racconto di una vita qualunque, leggera e semiparassitaria di uno di quei funzionari di medio alto livello di cui la letteratura russa dell'ottocento e così ricca. Poi il gelo scende su quest'esistenza finora spensierata e completamente egoistica. E noi, tutti noi lettori, ci troviamo costretti a condividere, e nostro malgrado imparare, che cosa produce nella mente di un uomo la presa di coscienza dell'avvicinarsi della fine, la sofferenza fisica della malattia. E forse, quella vita, non è mai stata così densa, così vissuta, come quando sta per terminare.
Ecco una di quelle dimostrazioni che la tecnica non conta nulla. In verità, si tratta di un racconto incredibilmente semplice, la storia è la più banale che si possa inventare: un uomo ha la carriera segnata, riesce nel suo lavoro, si innamora, si sposa, ha dei figli; poi, scivolando da una scala, sbatte il fianco contro la maniglia di una finestra, ed è l'inizio di una lenta agonia, che presto lo porta alla morte. è una storia "normale". eppure, proprio per questo, per motivi che sfuggono alla ragione (come disse Landolfi), poi ti fa sentire male. Una volta finito di leggerlo, ti fa sentire vuoto, eppure ti avvolge anche con un qualche tipo di rilassante calore... è difficile da spiegare, è questo l'effetto che danno i racconti di Tolstoj. E come faccia, non è facile capirlo. I suoi racconti, indubbiamente, si possono analizzare dal punto di vista tecnico, sono anche buoni; ma, in verità, Tolstoj ha sempre impugnato la penna come Don Chisciotte la lancia. Nell'ultimo periodo di vita, in particolare, ripeteva anche la stessa parola SEI volte nella stessa frase; e non lo correggeva! Non era suo interesse: lui voleva dire qualcosa; era il messaggio che contava, non la forma, esattamente come nei saggi di filosofia, come nei libri di Kierkegaard, per capirci. Rispetto ad altri, questo racconto è anche uno dei più precisi; ma la sua grande forza, viene da qualche altra parte, da qualcosa che la critica non può spiegare se non tornando a un idealismo "crociano". P.S.: vedo che qualcuno ha parlato di come questa morte possa andar bene per Ivan, ma non per tutti, e di come ci sia gente che nella morte mantiene la sua "dignità". Questo Tolstoj lo sa bene; lo si vede sia in Guerra e Pace (Andréi muore come Ivan il'ic, ma decisamente no il vecchio principe Bolkonski, né il vecchio principe Bezuschov, né Petia,o la principessina...), sia in altri racconti, come Tre Morti. Semplicemente, in quel preciso momento, questo era il tipo di morte che gli interessava descrivere
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